Nei giorni scorsi una circolare del servizio centrale che gestisce il Siproimi (ex Sprar), cioè la segreteria organizzativa del sistema di accoglienza pubblico per i rifugiati che fa capo ai Comuni, emanata su indicazione del Viminale, ha disposto l’uscita dalle strutture che ospitano delle persone con permesso umanitario, con termine il 31 dicembre.

Si tratta di una disposizione contenuta nel primo decreto sicurezza che, oltre ad abolire la protezione umanitaria e ad estromettere dal sistema pubblico dei comuni i richiedenti asilo, ha previsto che chi era presente al momento dell’entrata in vigore del decreto (5 ottobre 2018) nei centri ex Sprar, ci possa restare fino alla fine del progetto.

Gran parte dei progetti d’accoglienza per rifugiati degli Enti locali saranno rinnovati a fine anno, così dice il decreto ministeriale pubblicato di recente, che regola l’accesso al Fondo nazionale per le politiche e i servizi per l’Asilo dei Comuni. Anzi è prevista anche una proroga fino a sei mesi per consentire alle amministrazioni di individuare l’ente gestore, ovvero svolgere, laddove necessario, una nuova gara per l’assegnazione del servizio connesso. In ogni caso, sia a seguito della proroga, sia per la previsione del rinnovo, non è prevista alcuna fine del progetto.

La circolare, chiaramente voluta dal Viminale, è quindi sbagliata e frutto di una interpretazione illegittima. Se si dovesse dar seguito a quanto contenuto nella nota del servizio centrale del Siproimi ci troveremmo nella condizione davvero intollerabile, oltre che inspiegabile, di scaricare la responsabilità sugli stessi enti locali, ai quali si chiede di mettere per strada migliaia di persone, famiglie e minori inclusi.

Sulla base di una proiezione fatta a partire dai centri d’accoglienza gestiti dall’Arci, saranno tra le 3 e le 5 mila persone, tra cui molte donne vittime di violenza, come denunciato dai centri antiviolenza della rete D.i.Re.