Il Sì & No
Il progetto della Superlega è sbagliato: sarebbe una trasmutazione finale per dare vita al nuovo Frankenstein
Nel Sì & No del giorno del Riformista spazio al dibattito sulla Superlega. Favorevole Luca Sablone, contrario Giacomo Guerrini, entrambi giornalisti e firme su Il Riformista.
Qui sotto il commento di Giacomo Guerrini:
Cos’è il calcio? Perché questo gioco appassiona così tante persone in tutto il mondo? Secondo i nuovi paperoni del pallone siamo di fronte a uno spettacolo che deve tenere incollati davanti allo schermo di ogni tipo di dispositivo utenti in grado di pagare in cambio di uno show il più colorato possibile. Né più né meno di una qualsiasi “Casa di carta”. Per questo la Superlega rappresenterebbe l’evoluzione più moderna e democratica di questo sport che meriterebbe di essere gestito meglio per evitare partite con un’audience scarsa, come avviene adesso. In realtà i mercanti del pallone ignorano cosa sia davvero questo gioco, che per novanta minuti (più recupero) traspone sul campo ciò che la vita ci pone davanti tutti i giorni: gioie, dolori, fortuna e sventura, bellezza e orrore. E così la partita di calcio non è lo sfarfallio di ventidue magliette dai colori sempre più improbabili o la prova di forza dei migliori, bensì una rappresentazione alla quale da sempre chi ama il football aderisce completamente, condividendo i valori e la storia di un club, in primis, e le regole non scritte di una passione a cui tutti sottostanno.
Chi ha detto che un match non possa essere noioso? Chi ha stabilito che siano necessari gol e azioni per rendere una partita memorabile? Tutti noi portiamo nel cuore il ricordo di gare brutte che però si sono intersecate con la nostra vita, “Ti ricordi quel giorno allo stadio come pioveva? Partita orribile ma all’uscita ho incontrato Laura. Adesso è mia moglie”. E che dire di quei tifosi delle squadre che non vincono mai che si commuovono perché vedono i loro beniamini impegnarsi oltre ogni limite? Che poi magari succede che il Leicester vince il campionato inglese e tutto il mondo ne parla ancora.
No, cari signori: l’unità di misura del calcio non è l’audience televisiva e nemmeno il bacino di utenza di una società, ma la passione e l’amore che riesce a generare, che non si possono pesare né comprare. E questo è meraviglioso. Chi scrive ricorda ancora che un tempo in Serie A poteva accadere di veder vincere il Cagliari di Gigi Riva ma anche la Fiorentina, il Torino, il Verona, e la Sampdoria; accadeva perché i presidenti erano tifosi e le partite si vedevano allo stadio. Non c’era l’audience a dettare le regole di un gioco bello e fanciullo. Siamo già andati troppo oltre, si sono cambiate le regole per favorire i più forti, si sono imbrattate le maglie per poterne vendere in quantità massiccia a chi della storia di un club nulla sa; così sono sparite le strisce dalla divisa dell’Inter oppure hanno cambiato aspetto quelle di Milan e Juve. I numeri personalizzati sulla schiena dei calciatori, le terze e quarte maglie (ricordate quella militare del Napoli?) hanno contribuito a rendere tutto ancora più difficile, come del resto il linguaggio degli addetti ai lavori dove “sotto-punte” e “braccetti” hanno preso il posto di trequartisti e difensori centrali.
Manca poco per la trasmutazione finale, con il signor Reichart pronto a dare vita al nuovo Frankenstein: un mondo sterilizzato dalla passione e permeato in ogni poro dalle logiche del business e del profitto. Non ci dovessimo fermare, e francamente ci sembra difficile, potremmo dire addio per sempre al nostro mondo delle favole dove il Porto di Juary vince la Coppa dei Campioni contro il Bayern o la Sampdoria di Vialli e Mancini arriva a spaventare per 120 minuti il Barcellona di Johan Cruijff. Nick Hornby, tra i tanti che ha raccontato la nostra favola, ha spiegato benissimo in “Fever Pitch” perché la magia del calcio ci conquista e non ci abbandona più: “E poi il fischio dell’arbitro e tutti che impazziscono e in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo, e il fatto che per te è così importante, che il casino che hai fatto è stato un momento cruciale in tutto questo rende la cosa speciale, perché sei stato decisivo come e quanto i giocatori, e se tu non ci fossi stato a chi fregherebbe niente del calcio?”. Chi parla è Paul, tifoso dell’Arsenal, ma siamo anche tutti noi che abbiamo deciso di amare un gioco che non è solo un gioco. E non accetteremo mai di essere audience.
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