«To fathom hell or soar angelic, just take a pinch of psychedelic». Quella che avrebbe tutti i crismi di un verso dei Pink Floyd se non di una citazione tratta da Le porte della percezione di Aldous Huxley, è invece una rima con cui – durante un meeting della New York Academy of Sciences nel 1957 – un eminente psichiatra coniò il termine di «psiche-delico» – dal Greco «rivelatore della psiche».

L’accostamento non è casuale: fu proprio il dr Humphry Osmond che, oltre a unificare tutte quelle sostanze accomunate dalla capacità di indurre alterati stati di coscienza sotto un unico cappello terminologico, procurò al celebre scrittore inglese la mescalina, responsabile delle esperienze narrate nel suddetto e altri saggi.

Da psichiatra mi sono sorpresa nello scoprire che ben prima che l’associazione con i movimenti controculturali degli anni sessanta ne mutasse il destino (finanche scientifico), sostanze quali la psilocibina o la dietilammide dell’acido lisergico (LSD), non solo erano legali ma facevano informalmente parte della farmacopea medica.

Sintetizzata nel 1938 in Svizzera e serendipitosamente (come spesso è accaduto con psicofarmaci) poi scoperta detenere proprietà psichedeliche, la LSD venne messa in commercio dalla Sandoz (ora Novartis) nel 1947 in qualità di «farmaco per psicoterapia analitica», da soministrate non solo ai pazienti ma anche agli psichiatri in modo da «poter capire meglio i propri casi clinici». In quegli anni non solo i clinici ma anche le agenzie di intelligence internazionali erano interessate agli psichedelici, considerati delle vere e proprie «truth drugs».

Dopo anni di furore – e, dopo il 1967, decenni di bando – stiamo ora assistendo non solo a un rinnovato interesse da parte dei neuroscienziati per queste sostanze ma all’avvento di quello che molti prevedono essere una vera e propria rivoluzione nel campo della psicofarmacologia, suggellata soltanto pochi giorni fa dal rilascio da parte della Food and Drug Administration americana della prima guida per la regolazione della ricerca sugli psichedelici nelle malattie mentali. Ma cosa sappiamo ad oggi del funzionamento degli psichedelici sul cervello?

La risposta breve è che gli psichedelici vanno ad agire su quelli che sono i circuiti del «gate of consiousness», il cancello della coscienza. Come spesso è accaduto nel campo degli studi sul cervello e della mente, dove la comprensione della fisiologia e della patologia sono andate di frequente a braccetto, la ricerca sugli psichedelici ci sta di fatto aiutando da un lato a comprendere meglio il funzionamento dei circuiti cerebrali ma dall’altro anche a riconcettualizzare i disturbi psichiatrici.
Se infatti sembra che gli psichedelici agiscano a livello mecccanicistico aumentando rapidamente la connettività e la plasticità neuronale, il rapido e potente effetto terapeutico riscontrato nei primi trial clinici nella depressione e in altri disturbi psichiatrici, corrobora la teoria che i disturbi mentali siano di fatto disturbi dei circuiti cerebrali.

È infatti rilevante notare come le molecole psichedeliche che ad oggi sono ad uno stadio più avanzato della ricerca, ovvero l’MDMA per il disturbo post traumatico da stress (PTSD) e la psilocibina per il trattamento della depressione maggiore resistente, abbiano riportato effetti terapeutici già dopo una sola somministrazione, promettendo, similmente alla ketamina, di rivoluzionare la cura di disturbi che – con gli attuali psicofamraci – impiegano settimane per andare in remissione. Sappiamo però che dal laboratorio alla clinica, la via è lunga.

Secondo il dr Danilo De Gregorio che, rientrato in Italia dalla Mc Gill University in Canada, sta portando avanti lo studio preclinico degli psichedelici al San Raffaele di Milano, abbiamo bisogno di ancora un po’ di tempo prima di veder regolamentati gli psichedelici in Europa. Sebbene l’European Medicine Agency (EMA) abbia riconosciuto le sostanze psichedeliche come potenziali cure per il trattamento di alcuni disturbi psichiatrici, gli studi effettuati sono ritenuti ancora troppo limitati per poter fondare una decisione normativa. La cautela, spiega il dott De Gregorio, è dovuta anche ai potenziali rischi legati al complesso meccanismo d’azione degli psichedelici stessi che legano diversi tipi di recettori cerebrali (ad esempio sia psilocibina ma anche l’LSD interagiscono con il recettore 5HT2B della serotnina che è associato allo sviluppo di valvulopatie). La ricerca quindi prosegue.

E dove la scienza va, il capitale segue. Un recente editorial di Jama Psychiatry stima che il mercato degli psichedelici possa superare i 10 miliardi di dollari nel 2027, arrivando persino a superare quello (legale) della cannabis.

Interessante notare che la maggior parte della ricerca su queste sostanze non sta avvenendo nelle grandi aziende farmaceutiche, ma nel mondo delle start up. Ed è Compass Pathways, un’azienda con sede nel Regno Unito, la leader nel settore con COMP360, terapia basata sulla psilocibina, con uno studio clinico di fase 3 per la depressione resistente.

Kabir Nath, CEO di Compass, ovviamente ne è convinto. Siamo di fronte a una rivoluzione per la terapia. Ma noi… Teniamo d’occhio. E apriamo la mente.

Elisabetta Burchi

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