Incontrai Giorgio Napolitano durante la preparazione del convegno sul “Marxismo degli anni sessanta e la formazione teorico-politica delle nuove generazioni”. Il marxismo si presentava nella versione gramsciana e mirava a costruire una linea autonoma di sviluppo del pensiero italiano che si richiamasse oltre l’opera di Gramsci ad Antonio Labriola, a Benedetto Croce ma anche, seppure in maniera non dichiarata, a Giovanni Gentile. “Effetto di padronanza” alludeva alla capacità che il marxismo aveva di interpretare e prevedere gli sviluppi della vicenda economico /sociale e di orientare la trasformazione della società in direzione del socialismo. Partecipai timido e impacciato ad una riunione a Botteghe Oscure in preparazione del convegno, ebbi l’ardire di intervenire nel corso di una discussione che si svolse a Napoli alla presenza di Napolitano. Sul suo volto avvertii il fastidio per gli interventi fumosi che si succedevano. Ebbi l’impressione di suscitare in lui un qualche interesse quando, in un intervento infarcito di oscuri riferimenti alla totalità, citai, probabilmente a sproposito in quel contesto, Benedetto Croce.

Temetti che Giorgio avesse colto la mia goffaggine e invece, nel suo intervento conclusivo, ricordò il mio riferimento a Croce. Toccai il cielo con un dito! Poi andai in Basilicata. Lì mi inviarono Gerardo Chiaromonte e Ugo Pecchioli. Giorgio riuscì a venire a Matera durante le settimane del rapimento Moro per concludere la conferenza programmatica del Pci. Si svolse al vecchio Jolly Hotel, al centro della città, poco distante dai Sassi. Mangiammo orecchiette e rape e bevemmo un bicchiere di aglianico da “Mario” un ristorante non lontano dalla federazione. Napolitano appariva consapevole della tormentata dialettica che si svolgeva in quei giorni fra le ragioni dell’uomo e le ragioni dello Stato, fra la coscienza e il potere. Ma cosa ne sarebbe stato dell’Italia, ci diceva, se a prevalere fosse il ricatto delle Brigate Rosse? Ne parlò concludendo la Conferenza. Napolitano tornò in Basilicata l’anno successivo durante la campagna elettorale per le elezioni del 1979. La politica di solidarietà nazionale era finita. Si era giunti al voto anticipato. La critica che veniva rivolta al partito, diffusa tra i militanti, era concentrata su un punto: il Pci avrebbe, dopo il successo del 20 giugno del ‘76, concesso troppo alla Dc. Decidemmo di impegnare Giorgio in iniziative rivolte alla classe operaia. Giungemmo a Pisticci in un pomeriggio di caldo asfissiante. Eravamo stati prima a Tito, un comune del potentino per un incontro con gli operai della Liquichimica.

A Pisticci Napolitano avrebbe parlato agli operai dell’Anic. Il comizio si sarebbe svolto fuori la fabbrica nell’ora del cambio di turno. Era stato preparato un palchetto, addobbato con bandiere rosse del partito e del sindacato. Da lì sopra Giorgio avrebbe parlato. Occorreva vincere la diffidenza diffusa tra gli operai verso la politica di solidarietà nazionale che molti consideravano un cedimento alla Dc. Parlò prima un operaio, poi toccò a Giorgio. Il suo era come sempre un lucido argomentare senza invettive e indulgenza alla demagogia. Tutto lo sforzo oratorio di Giorgio ruotava intorno ad un punto: il Pci non si era sottratto alle responsabilità cui era stato chiamato dal voto degli italiani e dalle difficoltà in cui si dibatteva il Paese anche rischiando di rimanere “in mezzo al guado” nel corso di una esperienza per tanti versi atipica. In ogni caso il Pci aveva ispirato la propria politica ad una visione degli interessi nazionali rispetto alla quale ogni altra considerazione era passata in secondo piano. “Il Pci, ha difeso solo gli interessi della democrazia italiana”! Con queste parole aveva deciso di concludere il suo comizio, Giorgio. Soltanto che, nel momento culminante del finale, prima dell’appello al voto, invece di italiana Giorgio urlò, cristiana! Per correggersi immediatamente ma suscitando un gelo tra noi che eravamo sotto il palchetto. Ricordo ancora le sue parole scendendo la traballante scaletta. Lo sussurrò in napoletano: l’aggio fatta grossa!

Con Giorgio era sempre interessante discutere. Amava il cinema, seguiva il teatro, sapeva di musica classica che acquistava in un delizioso e piccolo negozio al Pantheon, frequentava vecchie librerie per trovare antiche edizioni. Non disdegnava il calcio. Insieme vedemmo Napoli-Fiorentina al San Paolo, una partita che con l’1 a 1 segnò la vittoria matematica del primo scudetto al Napoli, e poi un fiume di persone ci coinvolse nella festa! Giorgio aveva il culto dell’amicizia: ricordo quella fraterna con Gerardo ed Emanuele, la gioia degli incontri a Napoli con i suoi antichi compagni, Maurizio Valenzi, Pietro Valenza, Carlo Fermariello, Andrea Geremicca, Franco Daniele, Peppino Vignola. Ricordo il rapporto affettuoso e il dialogo con i compagni più giovani. Sfidò il freddo di una sera gelida d’inverno già avanti negli anni per rendere omaggio al suo caro amico Biagio de Giovanni per l’ingresso nei Lincei. Quella di Giorgio è un’esistenza che parlerà sempre agli italiani che aspirano ad una politica che riguadagni umanità, fiducia e dignità.