Nelle profondità della storia, sull’Ellesponto, l’ardito tentativo di Serse di collegare due continenti con un ponte di navi emerge come una metafora pregnante dell’eterna lotta tra l’ambizione umana e i limiti imposti dalla natura. Questa narrazione, custodita da Eschilo nei “Persiani”, trova un riverbero nel nostro tempo nel dibattito che circonda il Green Deal europeo, il piano comunitario che mira a fondere innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale in un mondo che cambia a ritmi vertiginosi. La determinazione di Serse, per alcuni atto di ambizione, per altri un eccesso di hybris, ci offre una lente attraverso cui esaminare la tensione attuale tra progresso economico e conservazione dell’ambiente. Economia contro Ecologia: è questo il campo di battaglia del Green Deal europeo, avvolto in un manto di elogi e perplessità per il suo approccio nella gestione di tale equilibrio.

Al cuore del Green Deal europeo risiede l’audace obiettivo di condurre l’Unione Europea verso la neutralità climatica entro il 2050, inaugurando così un’epoca di trasformazione verde volta a conciliare progresso economico e tutela ambientale. Tuttavia, nonostante riconosciamo i nobili sforzi compiuti, dobbiamo anche porre l’attenzione sulle criticità derivanti da un approccio ambientalista eccessivamente rigido, supportato persino dalla presidente Ursula von der Leyen, che rischia di non tenere debitamente conto delle varie realtà regionali presenti all’interno dell’Unione. Le normative ambientali sempre più stringenti rappresentano un carico pesante per le imprese europee, mettendo a rischio la loro competitività rispetto a rivali internazionali soggetti a minori restrizioni. Questo squilibrio potrebbe non solo danneggiare l’economia europea, ma anche minare la credibilità della lotta al cambiamento climatico giocata su un campo non effettivamente livellato. A ciò si aggiungono dubbi sulla sostenibilità finanziaria delle iniziative proposte e sulla loro fattibilità tecnologica. Guardando alle cifre fornite dall’esecutivo dell’UE – si parla di 520 miliardi di euro l’anno per la transizione ecologica e altri 130 miliardi per la digitale – sorge spontanea la domanda sulla fattibilità finanziaria di tali imprese. In particolare, viene da chiedersi e interrogarsi sulla reale capacità del settore privato di sostenere economicamente questi piani ambiziosi, specie in un periodo caratterizzato da inflazione alta, costi energetici crescenti e una concorrenza sempre più tagliente. La strada per trasformare in realtà il Green Deal europeo e i suoi obiettivi appare, dunque, non solo ambiziosa ma anche costellata di interrogativi cruciali.

Il progresso tecnologico e la conservazione ambientale sembrano dunque contrapporsi come nemici irreconciliabili, con protagonisti pronti a difendere le loro posizioni con fervore, talvolta persino attraverso assurdi atti di vandalismo. Eppure, l’etimologia di economia ed ecologia, entrambe radicate nel concetto aristotelico di oikos – “casa”, suggerisce una possibile sintesi, un punto di incontro dove la gestione della nostra “casa “globale può abbracciare sia le necessità economiche che la tutela ambientale. La lezione aristotelica sull’oikos, ci invita a considerare la gestione della nostra “casa comune” in termini di equilibrio e saggezza, enfatizzando l’importanza di un governo olistico che non trascuri nessuna delle sue componenti.

Non a caso, se economia significa appunto letteralmente “gestione della casa”, ecologia significa “studio della casa”, è suggestivo pensare che per gestire bene la nostra “casa”, non possiamo che “studiarla”, ovvero analizzarne scrupolosamente tutti gli aspetti, le nostre interazioni con essa e far sì che possa esser gestita nel modo migliore e nel modo più compatibile e sostenibile possibile unendo le 2 sfere d’azione che si intersecano nello stesso punto d’incontro.

Riconoscendo “oikos” come fondamento sia dell’economia sia dell’ecologia, abbiamo la possibilità di superare la narrativa attuale che contrappone sviluppo economico e tutela ambientale. In conclusione, il percorso verso un futuro veramente sostenibile richiede di abbandonare l’approccio puramente ideologico a favore di strategie realistiche e pragmatiche.
Introducendo meccanismi come la flessibilità regionale, che valorizza le peculiarità di ciascuna area dell’UE, si può rendere il Green Deal un modello adattabile e inclusivo, capace di rispondere efficacemente alle diverse esigenze e potenzialità. Questo risponde all’esigenza storica di andare oltre l’Europa degli Stati, e saper ragionare, per quanto riguarda alcune politiche, anche in base a regioni geografiche interne ai confini europei che differiscono o si ritrovano in maniera omogenea in termini di caratteristiche socioeconomiche ed ambientali. In merito ci sono molte buone pratiche come la nascita dei gruppi europei di cooperazione transfrontaliera, euroregioni ecc., che rappresentano un embrione di questo approccio, che consente a chi lo promuove e a chi ne fa parte di sfruttare le risorse per varare progettualità, anche nell’ambito del Green New Deal, ma che siano tagliate su misura per aree macroregionali vaste e quindi in grado di essere più efficaci e rispondenti alle esigenze e alle specificità dei territori europei.

Parallelamente, assumendo un ruolo guida in un’azione diplomatica globale, l’UE può promuovere questi principi di equilibrio e cooperazione oltre i propri confini, ispirando un cambiamento positivo su scala mondiale. Oggi come oggi l’Europa può giocare alla pari nello scacchiere delle grandi potenze, emergenti e già affermate, solo se sfrutta a pieno quello che è il suo potenziale di softpower, in grado grazie ai millenni di civiltà che l’hanno attraversata di poter avere in sé quella sedimentazione culturale capace di trovare soluzioni innovative in grado di affrontare i fenomeni globali sfidanti che oggi si fa fatica, non tanto a cavalcare, quanto appunto a governare. L’Europa può essere un faro per il mondo, come lo è nel campo dell’innovazione legislativa, basti pensare alla GDPR, al recente regolamento sull’Intelligenza Artificiale, e può esserlo nel campo della ricerca di soluzioni di equilibrio per gestire al meglio e in maniera corale ed efficace la transizione ecologica.
Aristotele ci ricorda che il buon governo dell'”oikos”, la nostra casa, è fondamentale per la stabilità della “polis”. Estendendo questo principio fondamentale a tutta l’Unione Europea, comprendiamo quanto sia vitale avanzare lungo questa strada, promuovendo l’equità sociale e intergenerazionale, e consegnare un ambiente sostenibile per tutti alle future generazioni.

Emanuele Cristelli e Gessica Laloni

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