Sono stati più che sufficienti quaranta giorni sulla panchina della Roma per capire di che pasta è fatto Ivan Juric (con solo precedenti da nono/decimo posto). Sicuramente non quella che serviva alla squadra per rialzarsi. Bisognerebbe spiegarlo a Lina Souloukou, che fidandosi delle sue conoscenze all’interno del mondo del calcio italiano – acquisite a partire da aprile 2023, primo mese da CEO della Roma – aveva avuto la brillante idea di fargli firmare otto mesi di contratto per sostituire De Rossi. E ora dov’è la Souloukou?

Rispedita a casa con ossimoriche dimissioni, forse di lei è rimasta traccia solo nei commenti social dell’entourage di Edoardo Bove, l’ex della partita bocciato da De Rossi e vendicatosi col quarto gol della serata nell’atroce 5-1 che la Roma ha subito a Firenze (neanche a dirlo la sua prima rete con la maglia viola, prima o poi capita a tutti, ma alla Roma un po’ di più). Il commento, dicevamo, è un gioco di parole: “Adrena-Lina”.  E fa sorridere. È quella che servirebbe ora per risvegliare un paziente in stato vegetativo.

Nessuno ha più fiducia in Juric. Non ce l’ha la squadra visti i pochi giocatori che non sono stati fatti uscire per scelta tecnica, o tenuti fuori appositamente; non ce l’hanno i Friedkin, che dopo aver comprato l’Everton avevano messo nero su bianco – ridicolizzandosi – che l’obiettivo della stagione era vincere un trofeo con Juric, e che si sono sentiti traditi dalla Souloukou. Ma non ce l’hanno mai avuta i tifosi, soprattutto da quando il mister diventato famoso per il suo linguaggio diretto, iniziando a sostenere che la squadra giocasse bene in palese contraddizione con quanto visibile in campo. A proposito, ci volevano cinque gol per farglielo tornare: “Ieri abbiamo buttato quaranta giorni di lavoro al cesso”, ha detto. Parole che nascondono anche il dolore di un professionista che alla sua prima grande occasione con una big esce quasi in lacrime.

Ora, mentre la Roma prepara la partita contro il Torino di giovedì sera sulle indicazioni di un separato in casa, la proprietà pensa al futuro, assieme allo sventurato Ghisolfi, il ds arrivato in tarda primavera che non ha ancora imparato l’Italiano (si dice nemmeno tanto bene l’inglese), scavalcato per la decisione di assumere Juric, e in equilibrio ancora più precario dopo aver speso decine di milioni per un mercato deludente. I nomi stavolta non saranno tanti e dovranno avere un pedigree giallorosso. C’è da salvare il salvabile, senza guardare ad un futuro troppo lontano, a meno che non si scelga di chiamare De Rossi convincendolo a tornare, in quel caso farà fede un triennale in pieno corso. Bisognerà ricostruire, niente nomi esotici. Servirà un uomo di cui tutti possano fidarsi, e a cui la squadra si possa affidare e infine capire cosa non sia andato in questo ultimo mese. I tempi delle congiure sembrano finiti. Ma prima c’è l’ultimo ballo di Juric.

Redazione

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