Si sono combattuti per una vita. Ma sempre con rispetto, come si addice a “vecchi” comunisti, dove quel “vecchi” non è legato all’età ma a un costume, a un modo di intendere la lotta politica e le relazioni personali, una concezione, un modus vivendi, che non trovano spazio nel presente di una politica dominata da mezze tacche, arroganti quanto privi di pathos. Per Emanuele Macaluso, Rossana Rossanda è sempre rimasta la “compagna Rossana”, alla quale dice, nel giorno della sua scomparsa, “ho voluto bene, molto bene”.

La “ragazza del secolo scorso” ci ha lasciati, a 96 anni..
La mia stessa età…

Qual è il ricordo di Rossana Rossanda?
Il ricordo di una “compagna”, termine che per me ha ancora un grande valore. Le ho voluto bene, molto bene, e a questo sentimento non ha fatto velo le posizioni politiche divergenti, a volte anche opposte, che avevamo quando eravamo dirigenti del Pci. Ma le nostre battaglie le abbiamo sempre condotte a viso aperto, con quella passione e quel rispetto che non sono mai venuti meno nel corso del tempo.

Il tempo. In quale occasione avvenne il vostro primo incontro?
“Dobbiamo andare molto indietro con la memoria. Al 1958. L’ho conosciuta a Milano. Lei dirigeva la Casa della Cultura nella storica sede di via Borgogna 3, a San Babila, ed io dirigevo il Pci in Sicilia. Eravamo distanti, non solo in chilometri… Rossanda mi invitò a parlare, in quella prestigiosa Casa, della “Operazione Milazzo” all’Assemblea regionale siciliana, che provocò un terremoto politico nel Pci. Prima di esprimere un giudizio, voleva sapere, voleva capire. Non si accontentava di analisi superficiali, oggi si direbbe di qualche twitter. Poi, però, quando si era formata una convinzione, non arretrava mai. Come ti dicevo, era il 1958. Ricordo che andai a pranzo a casa sua. Fu l’inizio di un rapporto profondo, a volte agitato, segnato da una divergenza politica aspra ma affettuosa. Sì lo so, “aspra” e “affettuosa” possono sembrare sentimenti inconciliabili. Ma non è così, o almeno non lo è stato nel rapporto con Rossana.

La prima donna ad essere chiamata, da Palmiro Togliatti, alla guida della commissione cultura del Pci.
Fu una scelta coraggiosa, quella di Togliatti, coraggiosa quanto appropriata. E non solo perché era la prima donna ad essere chiamata a dirigere un settore così importante per il partito come era quello culturale. Fu una scelta coraggiosa e appropriata perché Rossanda portava con sé un bagaglio culturale, letture e curiosità intellettuali che rappresentavano una innovazione importante, non dico una rottura con una visione “ingessata” del rapporto tra partito e intellettuali, ma di certo una forte discontinuità, pur nel solco del comunismo italiano. A un certo punto, le nostre strade si sono separate, ma Rossana resta una protagonista della storia d’Italia, sì dell’Italia, perché di quella storia il Pci è stato, per lungo tempo, un facitore, e Rossana quella storia ha contribuito a realizzarla, da protagonista. Il tempo è inesorabile, e uno alla volta i militanti e i dirigenti del Pci vanno scomparendo. Ma quello che non può, non deve scomparire è la storia di quel partito, il Pci, di cui Rossana è stata parte importante. Una storia che lei ha sempre rivendicato, anche quando si consumò la rottura. Spero che le nuove generazioni della sinistra non la mandino in archivio. Anche perché questa storia ha segnato negli anni la vita di migliaia di persone. Rossana l’ha costruita questa storia, assieme a tanti altri. Oggi il mio addio alla compagna Rossana, mi ha fatto riflettere, ancora una volta, su questa vicenda straordinaria.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.