La resa dei conti tra i due ex alleati Conte e Salvini sta per arrivare sul Mes: il fondo “Salva-Stati” creato nel 2012 per sostenere i paesi dell’eurozona a rischio crisi del debito. Un salvadanaio con dentro 80 miliardi di euro, pagati in maniera proporzionale, in base alla forza economica, dagli Stati aderenti alla moneta unica europea. E che, tramite l’emissione di titoli, può raccogliere sui mercati finanziari fino a 700 miliardi di euro. Queste risorse possono essere concesse tramite prestito ai Paesi in difficoltà. In cambio di cosa? Di un piano di riforme politiche ed economiche, generalmente stile “lacrime e sangue”, concordato dalla “Troika”, la trinità costituita da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. La Grecia è lì a ricordarcelo. Il 14 giugno scorso, il Giuseppe Conte 1 a trazione M5S-Lega ha concordato dentro l’Eurogruppo una bozza di riforma del meccanismo che spaventa i Paesi indebitati, tra i quali l’Italia, soprattutto nella parte che rende più semplice la “ristrutturazione” del debito. Entro dicembre il Parlamento italiano deve ratificare questa riforma ma qui scoppia l’intrigo, con tanto di barricate, minacce di querele e tinte da spy story.

Matteo Salvini dichiara di essere stato all’oscuro dell’accordo sottoscritto da quel Giuseppe Conte del quale era vicepremier. Nella foga del “non sapevo nulla”, il leader della Lega dice che la linea sul Mes semmai era “non firmiamo un cazzo”. Da uomo forte dell’opposizione parla di “tradimento dell’Unione Europea”, di un premier “autore di un attentato ai danni degli italiani” e chiede un incontro al Presidente Mattarella «per evitare la firma su un trattato che sarebbe mortale per la nostra economia». Non tarda ad arrivare, dal Ghana dove si trovava in trasferta istituzionale, la reazione del premier Conte che prima annuncia un intervento in aula lunedì per «spazzare via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni». E poi risponde, non senza vetriolo, al suo ex vice: «Vorrei chiarire agli italiani che io non ho l’immunità, lui sì, e ne ha già approfittato per il caso Diciotti. Veda questa volta, perché io lo querelerò per calunnia di non approfittarne più». A contrattaccare al Salvini “smemorato” pure il Pd, con Zingaretti che ricorda come il leader della Lega abbia «condiviso e approvato la riforma del fondo Salva-Stati». Per poi «diffondere il falso, nel tentativo di allontanare l’Italia dall’Europa». Ma il clima è teso anche dentro alla stessa maggioranza, con il Movimento 5 stelle parecchio stressato dal Mes. Tra i pentastellati sono diverse le voci critiche sulla rettifica della riforma del meccanismo. Il principale timore riguarda la semplificazione del processo di “ristrutturazione” del debito, idea in astratto positiva per i Paesi indebitati ma che rischia di portare i creditori dei titoli di Stato a chiedere interessi più alti ai Paesi che percepiscono più a rischio, e tra questi c’è l’Italia. Portavoce di questa linea sono i giovanissimi e barricaderi deputati Alvise Maniero e Raphael Raduzzi, entrambi in commissione Finanze alla Camera. Le obiezioni dei due hanno animato un dibattito interno al Movimento che si è concluso con la riunione di ieri, tesa a «ricompattare il partito» e a «difendere Conte dagli attacchi di Salvini».

Presenti i parlamentari e tutti i big, tra questi il leader, un po’ indebolito, Luigi Di Maio che ha espresso «massima fiducia» al premier Conte e al ministro dell’Economia Gualtieri. E poi ha spiegato la linea del Movimento: provare a rinegoziare parzialmente la riforma del meccanismo, portare a casa qualche modifica. Il “capo politico” ha chiesto il mandato all’assemblea, non senza le perplessità di qualcuno, per trattare con Conte e Gualtieri. Ma il tema, fuori dall’economia stretta, è la necessità per il Movimento di distinguersi dal Pd e non lasciare tutto lo spazio critico-populista-euroscettico-sovranista alla Lega. In tal senso andrebbe benissimo un piccolo rinvio della ratifica per prendere aria o qualche mini modifica, anche simbolica. I grillini hanno bisogno di tempo per metabolizzare il passaggio dall’antieuropeista e teatrale Salvini all’europeismo convinto, e privo di sogni da vendere agli elettori, del Pd, dall’abbraccio con i gilet gialli al sì netto al rafforzamento dell’euro. E Luigi Di Maio è sempre accusato di guardare ancora con “nostalgia” all’ex alleato Salvini, del quale forse condivide più istanze che non con Zingaretti. Sintetizza bene un parlamentare pentastellato: «Non potete chiederci di passare da un eccesso a un altro in cinque minuti, non stiamo più con la Lega ma neanche possiamo fare passare tutto, le nostre proposte vanno ascoltate». È in questo europeismo a metà, ben rappresentato dalla spaccatura del gruppo pentastellato a Bruxelles sul voto alla neopresidente Ursula von der Leyen, che sta l’ultimo dilemma del Movimento e del governo. Un grosso intrigo economico-politico chiamato Mes.

Giulio Seminara

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