“Come posso giudicare cosa succede dall’altra parte del mondo? C’è un morto, bisogna fare assolutamente chiarezza, la faranno medici e i giudici”. È tutto ciò che Matteo Salvini è riuscito a dire – ieri mattina ai microfoni di una radio – sulla morte “improvvisa” in un carcere di massima sicurezza in Siberia del dissidente russo Alexei Navalny. Ciò che la comunità internazionale, quella democratica almeno, non ha avuto alcun dubbio a definire “omicidio di Stato”, muovendosi di conseguenza rispetto alla Russia di Putin, per il leader della Lega, partito di governo, ministro e soprattutto vicepremier, è invece “qualcosa su cui dovranno fare chiarezza giudici e medici”. Come se Salvini non sapesse, o facesse finita di non sapere, che in Russia la magistratura non è libera e meno che meno lo sono i tecnici che devono fare perizie, in questo caso i medici legali. Come se non sapesse, Salvini, che in Russia c’è una dittatura che reprime ogni forma di dissenso e controlla ogni comunicazione esterna. E anche ipotizzando che per Salvini il caso di Alexei Navalny sia stato “una montatura mediatica” (così disse quando fu arrestato la prima volta quattro anni fa), dopo avvelenamenti, condanne esemplari, processi farsa, un martirio lungo quatto anni, un minimo di buon senso vorrebbe che il vicepremier Salvini correggesse il tiro. Invece resta ambiguo. Come Trump, Orban (che ha incontrato Putin nel fine settimana passato), e altri leader nazionalisti europei filorussi. Non può essere un caso. E infatti non lo è.

L’omicidio politico di Alexei Navalny diventa un caso anche per il governo italiano. In Italia perché la scarsa chiarezza della maggioranza sul tema mette l’intero Paese in quel territorio insidioso abitato dall’ambiguità o offre il destro a chi da sempre tende a girarsi dall’altra parte dicendo: affari della Russia. A livello europeo ed internazionale perché il Paese che presiede il G7 è guidato da una maggioranza che non ha una posizione univoca sul tema.
Il dissidente russo, l’unico attivo in Russia seppur condannato a diciannove anni con accuse legate all’estremismo (lui che era un blogger) e privato dei diritti, è morto venerdì mattina. O almeno, venerdì mattina le autorità russe ne hanno dato l’annuncio. Sconosciute le cause, la famiglia potrà avere il corpo “forse” tra due settimane. Fino ad allora, la madre non potrà vedere il figlio. “Chiedo al presidente Putin di poter riabbracciare mio figlio” dice la donna in un video appello postato ieri sui social dopo l’ennesimo rifiuto avuto al carcere di massima sicurezza. La moglie, che ha detto di voler portare avanti la sua battaglia, si trova ora a Bruxelles e sa bene che se dovesse tornare in Russia avrà lo stesso destino. Tutta la comunità occidentale, dagli Stati Uniti all’Europa, ha chiamato le cose con il proprio nome: “Omicidio di Stato con finalità di repressione del dissenso”.

Il governo italiano resta incerto. Tranne l’altro vicepremier, il ministro e leader di Forza Italia Antonio Tajani che ha subito incontrato la vedova e non ha avuto dubbi nel dire che “Navalny è stato fatto morire”, sia Giorgia Meloni che Salvini sono rimasti nell’ambiguità. La premier ha parlato sabato: “La morte di Alexei Navalny, durante la sua detenzione, è un’altra triste pagina che ammonisce la comunità internazionale. Esprimiamo il nostro sentito cordoglio e ci auguriamo che su questo inquietante evento venga fatta piena chiarezza”. Poi si è occupata di altro. Il capogruppo Foti lunedì ha partecipato alla fiaccolata in Campidoglio. Ieri pomeriggio, dopo 48 ore di polemiche, il fedelissimo Lollobrigida ha chiarito: “La responsabilità del regime di Putin c’è e non solo nel caso specifico di Navalny”. E ha aggiunto: “Il regime di Putin va condannato sempre”. Un salvataggio in zona Cesarini che ha allineato almeno un po’ Fratelli d’Italia alla comunità internazionale. Sempre in ritardo dopo le parole nette di Joe Biden, di Ursula von der Leyen, di Macron, del nostro Presidente della Repubblica: “La morte di Navalny nel carcere russo di Kharp rappresenta la peggiore e più ingiusta conclusione di una vicenda umana e politica che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica mondiale”. La sua vicenda e la sua detenzione, ha aggiunto Mattarella, sono “un prezzo iniquo ed inaccettabile che riporta alla memoria i tempi più bui della Storia”. La chiarezza che è mancata al governo, l’ha espressa il Quirinale subito dopo la notizia del decesso evitando all’Italia una figuraccia internazionale.

Qual è il prezzo che stanno pagando Meloni e Salvini? Entrambi guardano alle elezioni europee, alle rispettive alleanze e al consenso di quella parte di opinione pubblica che pensa, dal 2014, dai tempi dell’invasione della Crimea, di non immischiarsi con gli affari interni di Mosca e di coltivare, invece, i rapporti commerciali ed economici con Mosca. Del resto l’alleato Orban proprio nel fine settimana ha snobbato il vertice europeo sulla sicurezza di Berlino e ha preferito volare a Pechino per il terzo forum sulla Via della Seta dove ha incontrato Putin. Pensano, Salvini e Meloni, anche alle elezioni americane: Trump non ha detto una parola su Navalny, ha trovato il modo ancora una volta di parlare di sé. Salvini deve restare in linea con i partiti delle destre europee sovraniste e nazionaliste. Dicono, i leghisti, che il patto politico firmato nel 2017 con “Russia Unita”, il partito di Putin, sia “superato dai fatti”. Però nessuno ha ancora visto quel patto scritto stracciato e buttato. Nel frattempo, quindi, è necessario restare ambigui. E attendere che “venga fatta chiarezza”.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.