Il Campidoglio affollato, le fiaccole, le bandiere. La rabbia e i sorrisi. Bella e importante, la risposta di Roma a Mosca. L’omicidio di Alexei Navalny non passa inosservato. L’indignazione dei cinquemila partecipanti al sit-in (mai vista tanta gente nella storica piazza michelangiolesca) è un messaggio chiaro. Una foto recapitata nelle mani dello Zar con i volti e le firme di rappresentanti delle istituzioni, di associazioni, studenti, cittadini impegnati o semplicemente colpiti dall’ennesimo graffio del regime di Putin alla civiltà e ai diritti. La manifestazione ha visto l’adesione bipartisan.

Da ultima, trovatasi unica forza parlamentare assente, si è aggiunta la Lega. Il partito di via Bellerio è un osservato speciale. Ed è stato oggetto di proteste da parte degli aderenti alla fiaccolata: al Carroccio viene chiesto di uscire dall’alleanza strategica con l’organizzazione politica russa che sta dietro alle campagne di Putin. È stata tra le motivazioni di cui ha parlato la senatrice Raffaella Paita, guidando in piazza la delegazione di Italia Viva al sitin: “Non c’è dubbio che quell’uccisione, quello che è avvenuto, può essere attribuito al regime putiniano e all’intolleranza di quel regime nei confronti dei dissidenti politici e della libertà del mondo”.

Su X Benedetto Della Vedova, deputato di +Europa: “La ferocia della dittatura putiniana è inscalfibile come il suo controllo poliziesco sulla Russia. Solo una mancata vittoria di Putin in Ucraina lo indebolira’ sul piano interno e gli impedira’ di proseguire la sua guerra imperialista contro l’Occidente. Per questo, la piu’ efficace reazione alla morte di Navalny, è rafforzare anziché indebolire il sostegno all’Ucraina”.

Nel centrodestra Fratelli d’Italia e Forza Italia condannano Putin senza appello: ‘’Quando parliamo di Navalny parliamo di un martire, un martire della libertà morto in spregio dei diritti fondamentali: da quello della democrazia a quello del dissenso”, ha detto ieri in piazza Mulé. La notizia del sit-in improvvisato a Milano aggiunge benzina sul fuoco. È successo che alcuni cittadini russi residenti a Milano, ostili al regime di Putin, si sono incontrati per deporre un fiore sotto la targa dedicata a Anna Politovskaja. Inusitatamente solerte, una pattuglia della Digos è piombata sul posto e ha identificato tutti. “Adesso identificate anche noi”, hanno gridato tra gli slogan i manifestanti del Campidoglio ieri. Putin all’ombra della torre campanaria capitolina non fa paura.

La proposta di Italia Viva è di cambiare nome a via Gaeta, la strada dove ha sede sin dal 1945 l’ambasciata russa, e di chiamarla via Alexei Navalny. Sarebbe uno smacco non da poco costringere quei diplomatici a passare sotto alla targa con il suo nome ogni giorno. E dalle colonne di Repubblica, Andrea Romano – ex deputato Pd, docente di storia russa – chiede alle istituzioni europee di lavorare alla confisca di 300 miliardi di asset e beni russi presenti in Europa. Un passo avanti sulla strada delle sanzioni e un gesto concreto non solo per indebolire il regime russo ma per finanziare la resistenza ucraina. La politica ha capito che indietro non si torna. Schlein capeggia la delegazione Pd in piazza (“Esprimiamo solidarietà per coloro che in Russia vengono arrestati perché si radunano per dissentire e per protestare per la morte di Navalny. E’ il volto autocratico e oppressivo del regime di Putin, che uccide il dissenso”) ma sulla conseguenza logica del contrasto a Putin, ovvero il sostegno militare a Kiev, si perde per strada.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.