Nei confronti delle attività politiche diciamo così tradizionali rimonta un’avversione che non ha nulla a che fare con la giusta pretesa che esse si esercitino nel rispetto della legge. Si tratta di un’avversione essenzialmente antidemocratica, carburata da una miscela di oscurantismo plebeo e sedizione illiberale che contesta il finanziamento delle attività politiche non quando e perché il finanziamento è illecito ma sempre e soltanto perché riguarda realtà (i partiti, le associazioni di iniziativa politica) ritenute sostanzialmente criminali. Con il corollario che il carattere illecito del finanziamento non risiede più nella consegna di denaro fatta in violazione di una norma che stabilisce come e quanto si possa finanziare un partito, ma nel fatto che la criminalità intrinseca del partito rende illecito qualsiasi finanziamento.

Si pensi a come ampie fette di popolazione, ben istruite da una stampa inerte o direttamente complice, salutarono l’inizio e il corso del Terrore giudiziario degli anni Novanta del secolo scorso. Che cosa provocò l’indignazione diffusa contro i partiti e il favore inconcusso verso quelli (i magistrati) che finalmente li mettevano in riga? Forse il fatto che si trattava di finanziamenti illeciti? Era cioè l’illegalità di quel rifornimento a muovere la rabbia della gente? Ma nemmeno per sogno. Quello era un pretesto, e il sentimento di rabbia verso i partiti e il desiderio che fossero annientati c’erano tutti interi a prescindere dal fatto che il finanziamento fosse illegale. Quella rabbia e quel desiderio, dopo un quarto di secolo, sono andati al governo costituendosi in una forza politica dichiaratamente orientata a modificare il sistema politico rappresentativo, con una pratica di finanziamento imposta con strumenti di oggettiva estorsione in favore di un soggetto che comanda il nuovo sistema politico senza bisogno di accreditamento, senza necessità di legittimazione, senza esposizione a nessuna forma di controllo normativo. Un non-partito, non a caso.

Di questa involuzione civile e democratica la stampa coi fiocchi è stata corresponsabile. E come allora si trattò dei cronisti assiepati ad attendere ogni sospiro del magistrato di turno, oggi si tratta di titoloni e maratone televisive sugli esiti di qualche pasticcio telematico trasformato in evento capitale della vicenda italiana. La faccenda dei soldi ai partiti è rimestata in questo medesimo calderone pieno di sobbollimenti autoritari. E che se ne cavi fuori un Rolex al figlio di un parlamentare o una chiacchiera di una ministra con un banchiere o un giro di consulenze e raccomandazioni, la cosa non cambia: resta in tutti i casi l’idea che quella roba è criminale già per il fatto che a combinarla è un politico, e importa poi abbastanza poco e anzi nulla che l’ipotesi di illecito sia verificata. Non ci sarebbe nulla di male se discutessimo solo della pretesa che i partiti politici ricevano soldi in modo legale. Ma qui la pretesa è un’altra: e cioè che finanziarli sia illegale punto e basta, e proprio sul presupposto che illegale è innanzitutto il soggetto finanziato. Non per quello che fa, ma per quello che è. Con il risultato che alla malversazione partitocratica si sostituisce la presunta purezza di poteri diversi, in una democrazia rivoltata da un server e presidiata dall’azione penale.