Il via libera della commissione Affari costituzionali della Camera al disegno di legge sulla separazione delle carriere è un passo in avanti importante, ma Francesco Petrelli avverte: «I tempi sono stretti e i passaggi parlamentari della riforma costituzionale complessi». Dunque – ammonisce il presidente dell’Unione camere penali – bisogna fare in fretta per non perdere la storica opportunità. E soprattutto serve «più coerenza» per una vera riforma della giustizia.

La separazione delle carriere arriva lunedì in Aula. È davvero la volta giusta?
«I tempi sono stretti e i passaggi parlamentari della riforma costituzionale complessi, ma la tabella di marcia può essere rispettata e noi daremo il nostro contributo per agevolare e sostenere questo percorso soprattutto nella fase referendaria».

Il testo consente di giungere finalmente a quella terzietà del giudice scolpita nell’articolo 111 della Costituzione?
«Si tratta di un passo fondamentale che dà concretezza a quell’articolo della Costituzione. Giudice terzo vuol dire infatti un giudice distinto da entrambe le parti sotto un profilo ordinamentale per garantirne non solo l’indipendenza “esterna”, ma anche quella “interna” che è la più insidiosa».

Eppure tra le toghe c’è chi sostiene che così il pubblico ministero sarebbe sottoposto al potere esecutivo…
«Il ddl riprende interamente la proposta dell’Ucpi con riferimento alla costituzione di due distinti Csm: uno per i pm e uno per i giudici. Quale maggiore garanzia di indipendenza e di autonomia di un proprio organo di governo. Chi utilizza questo vecchio argomento mostra di non aver letto il ddl o di voler negare la realtà».

Teme che il referendum possa ostacolare o addirittura far saltare tutto?
«Quando i cittadini sono stati messi in grado di esprimere il loro giudizio in merito alla riforma si sono espressi sempre in senso favorevole. Non essendo necessario il raggiungimento di un quorum, siamo certi che questa posizione riformatrice prevarrà ancora una volta».

Ci sono spiragli per l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale?
«Quello dell’obbligatorietà dell’azione penale è al tempo stesso il più solido e il più fragile dei princìpi, in quanto si scontra con gli infiniti ostacoli della realtà. Il problema è quello di stabilire, una volta preso atto della natura solo virtuale del principio, a chi spetta esercitare una scelta tipicamente politica: al Parlamento o al singolo magistrato».

Dopo oltre due anni di governo, che giudizio dà al ministro Nordio?
«Il ministro sta mantenendo l’impegno per quanto riguarda la riforma costituzionale e ha fatto passi interessanti sulla strada del riformismo garantista, sulla tutela della riservatezza delle comunicazioni dei difensori e sulle impugnazioni in materia di misure di prevenzione. Ma sul carcere, sugli 85 suicidi e sul pacchetto sicurezza il nostro giudizio non può che essere il più severo, perché si stanno tradendo tutti i princìpi del diritto penale liberale e della legalità della pena».

Però per una vera riforma della giustizia serve ancora più coraggio…
«Basterebbe più coerenza. In un momento in cui la stessa funzione difensiva è sotto attacco e il processo penale va sempre più trasformandosi in una macchina vittimocentrica, sarebbe necessario assumere una visione ben precisa della giurisdizione penale: se la si vuole consegnare ai rigurgiti della vendetta collettiva o se se ne intende rilanciare la virtù liberale e democratica di salvaguardia ultima dei diritti e delle garanzie dell’accusato».

Anni e anni di fango mediatico, 2.589 giorni d’inferno, migliaia di intercettazioni, vita privata e carriera politica distrutte. Alla fine l’incubo giudiziario per Stefano Esposito è finito, ma le ferite resteranno per sempre. Chi paga?
«Il sigillo dell’archiviazione è la dimostrazione di un radicale sviamento, ma nessuno pagherà per la carriera distrutta o risarcirà l’immagine pubblica devastata, né sotto un profilo disciplinare né patrimoniale. Il micidiale intreccio fra iniziativa giudiziaria e gogna mediatica finisce con il costituire un modulo patologico che appare ai più come la normale essenza del processo penale, mentre al contrario mortifica la giurisdizione e scardina le fondamenta della convivenza civile. Dimostra che il garantismo è un verbo sconosciuto nel nostro paese».