Caro lettore, chiunque tu sia, stai attento perché, se per qualche ragione fossi investito da un momento di popolarità, potresti ritrovarti candidato per un ruolo istituzionale senza ricevere neanche un preavviso telefonico. Nella post-politica non contano più la militanza, i cosiddetti percorsi, le idee politiche. Basta essere il beniamino del momento. Così pare, a leggere le parole di Fulvio Martusciello, europarlamentare di Forza Italia: «Oreste Vigorito andrebbe candidato a sindaco di Benevento perché per la prima volta qualcuno, con parole chiare e coraggiose, ha difeso la città e l’intero Sud. Vigorito ha detto quello che molti non hanno il coraggio di dire, tacendo per convenienza. Se accettasse, si potrebbe creare un larghissimo schieramento civico improntato alla novità e al coraggio». Le vie della politica sono infinite, ma confessavamo di non aver saputo riconoscere per tempo che le coordinate del nuovo bipolarismo si potessero muovere sull’asse tra il presidente della squadra di calcio del Benevento e Paolo Mazzoleni, l’arbitro che, dalla sua postazione al Var, ha negato un rigore alle Streghe scatenando la dura reazione del loro patròn.

Il merito sportivo c’è tutto, quello politico dei galloni del meridionalismo forse è un po’ azzardato. Ed è un particolare irrilevante, davanti a questa narrazione, che la solare e marina Cagliari, la cui squadra ha inferto un torto al Benevento tramite la decisione di Mazzoleni, sia più a Sud della città campana. Gli odiati conquistatori sabaudi non vennero sotto le insegne del Regno di Sardegna? Forse non è un caso che il centrodestra non amministri nessuna delle città più popolose della Campania e nessuno dei suoi cinque capoluoghi di provincia. E che anche a Napoli, dove c’è un’autostrada spianata dopo trent’anni di amministrazioni di centrosinistra in varia salsa, sembra affidarsi a un candidato, come il pm Catello Maresca, senza pedigree politico e comunque non ancora investito ufficialmente benché di fatto in campo da quasi un anno.

Diciamo la verità, il centrodestra in Campania non esiste più, non ha organizzazione, non ha un leader, non ha classe dirigente e non fa nulla per averla, anche se riesce a essere in qualche modo competitivo per i pasticci altrui e perché la Campania è una regione con una sub-cultura politica certamente, nel suo complesso, non progressista. Le uniche notizie politiche relative al centrodestra riguardano faide e beghe interne, mutamenti di organigrammi (come da ultimo, ancora una volta, in Forza Italia) senza che nulla cambi davvero. Ed ecco Stefano Caldoro eterno candidato alla Regione e Mara Carfagna che rinuncia ad avere un ruolo a livello campano nonostante l’investimento sulle vicende di Salerno e lei, salernitana, sulla città di Napoli, dove è stata impegnata consigliera comunale prima di gettare la spugna e dimettersi.

Del resto, così come l’abbiamo conosciuta, Forza Italia è un soggetto al capolinea, la Lega versione nazionale non ha attecchito più di tanto e Fratelli d’Italia, che eredita forse l’unica classe dirigente del centrodestra della Seconda Repubblica (cioè quella del Msi), non è riuscita a radicarsi né a chiarire i rapporti con i suoi alleati.
In tutto questo è la politica meridionale che non conta nulla e attende che ogni decisione arrivi da Roma, dove i meridionali non sono nei posti di comando (salvo che nel M5S). Delle stagioni passate resta la splendida ma malinconica senilità di Ciriaco De Mita, rinchiuso nel suo feudo di Nusco come in un romanzo di Márquez, la tolemaica presenza di Clemente Mastella nella politica beneventana, un po’ di abili sindaci prevalentemente di centrosinistra dell’ultima nidiata democristiana. È tutto da rifare, a destra come a sinistra. Il centrosinistra, sulla carta, sta un po’ meglio perché ha una folta leva di amministratori e qualche figura spendibile di livello nazionale. A destra è tutto uno sbandierare rapporti veri o presunti con i leader nazionali. Se Atene piange, Sparta non ride.