Era il 458 a. C. quando, alle pendici dell’Acropoli, andò in scena l’Orestea di Eschilo. Uno spaccato mitologico con tutti gli elementi della civiltà moderna: Atena rifiuta il giudizio su Oreste, un compito troppo gravoso anche per una dea che, allora, immagina un nuovo spazio attribuito agli uomini in cui giudicare i propri simili. Nasce così l’Aeropago, un luogo chiuso e sacro in cui dodici giudici, dopo aver ascoltato l’accusa delle Erinni e la difesa di Apollo, emetteranno un verdetto. L’archetipo del moderno processo accusatorio per come lo conosciamo duemilacinquecento anni dopo. Quello che poi verrà contemplato finanche nella nostra Costituzione come giusto, equo e di ragionevole durata. Un insieme di garanzie per consentire agli essere umani di difendersi da qualsiasi accusa, di ricevere un giudizio rapido e una pena tendente alla rieducazione.

Principi ispiratori della Riforma Cartabia che abbiamo votato alla Camera. Una riforma nata con l’intento di riportare i processi ad una durata ragionevole e i diritti dell’individuo al centro della discussione. Un progetto molto più ambizioso di quello poi approvato in Parlamento perché ha dovuto attraversare la rete delle mediazioni dei partiti di maggioranza. Quindi via alcune illuminanti intuizioni della commissione Lattanzi. Ma possiamo affermare, oggi, con serenità, che questa riforma rappresenta un ottimo canovaccio per il Legislatore di domani, quando sarà chiamato ad implementare le garanzie e che contempla in sé tutti quei principi prima citati.

Principi che non dobbiamo dimenticare quando siamo chiamati ad esercitare la funzione legislativa, prima ancora che quella giurisdizionale. Principi che dovranno illuminare la nostra strada verso una giustizia umana, certamente lunga, certamente tortuosa, certamente difficile. Certamente giusta. Il primo tassello è stato posto. Da domani abbiamo il dovere morale di continuare.