Il rapporto “Le Equilibriste. La maternità in Italia 2022″ di Save the Children parla chiaro: la crisi pandemica è stata un acceleratore di disuguaglianze sociali, economiche, educative. In Italia le donne, e le mamme in particolare, hanno pagato “un prezzo altissimo” e anche la ripresa dell’occupazione del 2021 è stata connotata in larga parte dalla precarietà delle donne e delle mamme nel mondo del lavoro.

Se si considera che le donne scelgono la maternità sempre più tardi, l’età media è 32 anni, e fanno sempre meno figli, e che soprattutto sempre più spesso devono rinunciare a lavorare a causa degli impegni familiari: il 42,6% delle donne tra i 25 e i 54 anni con figli, risulta non occupata con un divario rispetto ai loro compagni di più di 30 punti percentuali. Vita difficile per le madri soprattutto al Sud. Anche quest’anno, sono le regioni del Nord ad essere più mother friendly. Insomma, costrette a scegliere: madre o lavoratrice? Le politiche di genere latitano. E le statistiche indicano l’Italia come fanalino di coda nella classifica dell’occupazione femminile. Fattori che si legano e che vengono confermati anche dal rapporto di genere del governo nel biennio 2019-2020 sul mercato del lavoro. Il periodo di emergenza sanitaria ha determinato effetti differenziati tra uomini e donne.

In questo scenario risulta significativa la lettura di dati da cui emerge come proprio la condizione di genitorialità sia penalizzante per le dinamiche di genere. Se le cessazioni dal rapporto di lavoro riguardano in prevalenza gli uomini, per le dimissioni e risoluzioni consensuali di lavoratrici madri e lavoratori padri la proporzione si inverte e il divario risulta più accentuato: 72,9% per le lavoratrici madri nel 2019 e nel 77,4% dei casi nel 2020. La condizione di genitorialità in sostanza ha strutturalmente un impatto diverso sulla partecipazione al mercato del lavoro tra uomini e donne. Vi è infatti una relazione tra la diminuzione dell’occupazione e la maternità e anche in relazione al numero dei figli. Al contrario, in presenza di figli, la partecipazione al lavoro maschile aumenta. L’obbligo di scelta tra lavoro e famiglia quindi esiste e quasi sempre penalizza le donne costringendole a rinunce dolorose.