Guai ad essere moderati se l’argomento è Silvia Romano, la sua liberazione, il riscatto o la conversione all’Islam e chiunque provi a riconoscere la resilienza interiore che le ha permesso di resistere a 18 mesi di prigionia in Somalia, rischia di farne le spese. E’ quello che è capitato a Don Enrico Parazzoli, Parroco di Santa Maria Bianca della Misericordia, la parrocchia nel quartiere Casoretto dove abita la famiglia di Silvia Romano e che all’annuncio dell’avenuta liberazione ha suonato a festa le campane della chiesa per dare il ben tornato a Silvia insieme a tutto il quartiere.
Un’iniziativa che non è piaciuta a molti, che hanno accusato il Parroco di tradimento verso la Religione Cattolica, perché non si celebra, non si festeggia il ritorno a casa di un’islamica. Eppure dinanzi a questa personalissima scelta, la Chiesa Cattolica ha immediatamente mostrato accoglienza e comprensione delle ragioni che possono averla spinta ad una simile decisione. Paura, obbligo, ricatto, fede, cosa ci sia alla base della conversione di Silvia è presto per dirlo, occorre aspettare, sospendere ogni analisi o giudizio, per darle il tempo necessario per comprendere la reale profondità e la libertà della sua scelta.
Ma una cosa è già chiara: per la cultura e la stampa cattolica la conversione di Silvia non cambia il valore della persona, la sua disponibilità ad aiutare gli altri, a fare della propria vita una scelta di generosità. Il quotidiano cattolico “Avvenire” la definisce: “Ambasciatrice dell’Italia migliorei”. Per il settimanale “Famiglia Cristiana” Silvia Romano è un esempio per i nostri giovani”. “Silvia Romano è nostra figlia“, scrive il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana e continua: “è una ragazza con una grande grinta e questa forza interiore sicuramente l’ha salvata“.
Una figlia che in molti non vogliono però riconoscere. Una parte della politica e della stampa italiana l’ha definita, un’ingrata, una traditrice, un’opportunista in mala fede, una neoterrorista, le hanno augurato la morte dai social e oggi qualcuno ha lanciato bottiglie e cocci di vetro contro la finestra dalla quale si era affacciata subito dopo il suo ritorno a casa.
E intanto la procura di Milano ha già aperto un’inchiesta sugli insulti e le minacce postate da diversi utenti. Con Don Aldo Antonelli, sacerdote dal 1968, parroco in diverse località dell’Abruzzo, oggi in pensione e autore di libri e articoli per diverse testate come Adista o Micromega, abbiamo cercato di comprendere le ragioni di tanto odio.
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