Il sindaco di Pesaro in una recente intervista ha espresso una netta, quanto schietta valutazione. Matteo Ricci ha denunciato un rischio reale: l’attuazione dell’art 116 secondo comma della Costituzione, attraverso l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni, può determinare uno squilibrio nel sistema delle Autonomie. Riprendo le sue parole: “Ribadisco che il punto per i sindaci non è Nord contro Sud; questa riforma porta a un centralismo regionale che è ancora peggio di quello nazionale” e ancora che “le Regioni diventino dei baracconi gestionali” concludendo con un’osservazione che non si può non condividere: “Le gestioni devono rimanere in mano ai Comuni, enti preposti a questo e non alle Regioni che sono nate per occuparsi di legislazione e di programmazione”. Questa è anche l’opinione della stragrande maggioranza dei primi cittadini che subiscono la soggezione degli enti regionali.

Le Regioni sono diventate le destinatarie dirette delle risorse economiche trasferite dal livello nazionale ed Europeo, vere cassaforti che stabiliscono, non solo la predisposizione di piani e programmi sul territorio, ma anche le modalità attuative. I Comuni sono molto spesso costretti a subire questo comportamento in virtù del ricatto sull’attribuzione delle risorse. Questo avviene in particolare nel Mezzogiorno dove gli Enti locali sono molto più frequentemente in squilibrio economico e finanziario, con bilanci senza manovrabilità e di conseguenza dipendenti dalle casse regionali. Fra i Comuni che sono in dissesto o predissesto, oltre 80% per cento è allocato al Sud. Il tema, come si può comprendere, non riguarda solo la dialettica tra Comuni e Regioni ma l’intero modello di governo degli investimenti e dei servizi, che viene amplificato dalla piena attuazione del titolo V che è in discussione – in queste settimane si è passati alle prime votazioni – in Parlamento.

Le risorse complessive comunque non mancano, ma sono allocate in numerosi fondi e programmi e non sempre distribuite in maniera omogenea e coerente sui vari territori o sulle singole istituzioni locali. La maggioranza di Governo ha scelto di affidare al Ministro Raffale Fitto il coordinamento di tutti gli strumenti operativi, per scongiurare la vecchia e deleteria pratica delle sovrapposizioni e frammentazione degli interventi e per favorire, invece, una programmazione omogenea ed una effettiva semplificazione. Una pianificazione delle risorse indirizzata ai settori strategici, a partire dal sistema idrico alla gestione dei rifiuti, dai trasporti alla logistica, alla competitività delle imprese, alla transizione verde e digitale. La polemica dei Sindaci e dei Presidenti di Regione sono per lo più rivolte all’utilizzo dell’Fsc, la storica cassaforte degli enti locali. Una cassa pluriennale che consente interventi sul territorio meno complessi e macchinosi rispetto a quelli del Pnrr o degli stessi programmi europei, soggetti a controlli molto più stringenti.

Il Ministro Fitto ha opportunamente scommesso sullo strumento dell’Accordo di Coesione, governance che mette attorno allo stesso tavolo le singole regioni e gli enti locali, ascoltando la voce delle forze produttive e sociali. Una programmazione omogenea e coordinata finalizzata alla qualità e capacità della spesa. Sono stati sottoscritti accordi con metà delle Regioni, prevalentemente del centro nord, ultima quella del presidente Bonaccini. Al sud la gestione è più controversa, anche perché condizionata dal vecchio vizio di utilizzo frammentario delle risorse del fondo e per finalità non strategiche.

È opportuno ricordare che numerose modifiche normative hanno caratterizzato questo stanziamento sempre più a titolarità nazionale e quindi non trovano riscontro le lavate di scudo di alcuni governatori, con annesse minacce di denuncia per omissioni, contro il Governo per non avere trasferito gli stanziamenti. Tra l’altro il ministro Fitto ha solo reso sistematica una metodologia che è stato proficuamente utilizzata anche da precedenti governi. Voglio ricordare, per esempio, le intese promosse dal Ministro Fabrizio Barca. Una di queste mi vide protagonista, come sottoscrittore a nome della Regione Campania, del Contratto Istituzionale di Sviluppo che ha permesso la realizzazione dell’Alta capacità ferroviaria Napoli-Bari. Con i colleghi Niki Vendola, per la Puglia, e Vito de Filippo per la Basilicata demmo l’avvio, con uno stanziamento di tre miliardi, a questa fondamentale infrastruttura nazionale. Questo può valere oggi per il ponte sullo stretto di Messina. Senza questa metodologia di coordinamento molto probabilmente le singole Regioni avrebbero continuato a utilizzare il fondo come un bancomat per micro interventi. La strada intrapresa dal governo è quella giusta: l’obiettivo è il rovesciamento del paradigma per mirare alla qualità alla spesa, affinché si trasformi in reale investimento. Una politica di coesione che misura i fattori di crescita, fa massa critica e responsabilizza la classe dirigente.

Stefano Caldoro

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