Le pensiline, le panchine e tutte le attrezzature per l’accoglienza del Molo Beverello stanno per sparire. Portate via da Alfredo Giacometti, l’imprenditore napoletano che si era offerto di installarle lì a spese proprie nel 2015. “Allora il Molo era un caos. Mi offrii di allestire le strutture di attesa e informazione gratuitamente in cambio di vendere pacchetti. Ho speso quasi 800mila euro”. E la gestione stava procedendo bene, fino alla recente rottura. “Un’altra ditta che lavorava lì – spiega Giacometti – cominciò anch’essa a vendere pacchetti turistici che mi era stato assicurato che avrei avuto in esclusiva. Feci reclamo”. Da allora sono iniziate alcune vicissitudini e incomprensioni che hanno portato l’imprenditore ad iniziare lo smantellamento delle aree.
Dopo aver ottenuto che l’altro rivenditore, un bar della zona che operava abusivamente, venisse inibito, sono partite alcune segnalazioni anche nei suoi confronti. “La Guardia Costiera, che mi conosceva bene e sapeva che eravamo regolarmente autorizzati, ci accusa di aver occupato abusivamente il locale impiegato per l’info-point, che ci era stato concesso dall’autorità portuale. Da quel momento iniziano una serie di persecuzioni, culminate con una multa per vendita abusiva di servizi turistici”.
Ora si dice pronto ad agire legalmente, assistito dall’avvocato civilista Angelo Pisani e il penalista Leonardo Polito, sottolineando che si potrebbe configurare un danno erariale.
Le strutture, che prima erano offerte gratuitamente, ora rischiano di venire sostituite da altre “a spese della collettività”. La concessione fu fatta sei anni fa dall’allora commissario Antonio Basile, e poi nel 2017 il presidente del Porto Pietro Spirito chiese anche di installare altoparlanti per gli annunci e due grandi led per gli orari delle navi. “In cambio vendevo spazi pubblicitari e per pagare il personale dell’info point che mi era stato chiesto, potevo vendere pacchetti turistici lì”, sostiene Giacometti.
“All’epoca i turisti non sapevano cosa fare – conclude – mentre ora mi trovo costretto a smontare tutto, a me non davano niente e in più io pagavo il canone concessorio per l’autorizzazione della pubblicità”.
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