Immersi nella danza complessa dei pensieri, ci ritroviamo spesso a contemplare un enigma intrigante: stesso evento, due persone che osservano, due verità riferite: chi ha ragione? È il balletto delle opinioni, un duello di prospettive che porta ad incomprensioni e scontri.
La verità è un’entità sfuggente che si rivela diversa agli occhi di ogni osservatore. E qui entra in scena l’effetto “Rashomon”, un’illusione psicologica in cui la percezione soggettiva danza con i ricordi, come nel film di Kurosawa in cui un omicidio viene narrato da quattro testimoni in altrettanti modi diversi. Gli osservatori, con i loro filtri unici, plasmano ricordi plausibili ma differenti, come se la verità fosse uno specchio deformante che riflette realtà multiple.

Disegniamo la realtà con i colori delle nostre esperienze: se il passato è stato un deserto privo di gioie, il presente apparirà arido; se è stato colorato da amicizie leali, troveremo fedeltà ovunque. C’è una sofferenza intrinseca nella partitura della vita, necessaria come le note tristi in una melodia commovente. Ma c’è anche una sofferenza superflua, come una nota fuori posto, un disagio non richiesto che può essere evitato e che dipende da come noi guardiamo agli eventi, alle cose, alle persone e al mondo. Abbiamo in dote un carico di distorsioni cognitive fatte di “pensieri-catastrofe” (se non riesco in questo, addio al sogno), di “pensieri-dicotomici” (o il migliore o un fallito), di “generalizzazioni” (una cosa è andata male, non ci sarà quella buona), di “giudizi globali” (questa scuola è terribile), di “doveri-imposti” (devo sembrare perfetto!) e di “lettura del pensiero” (io farei così solo se non mi interessasse, quindi a lui non interessa).

Siamo tutti vittime, spesso senza rendercene conto, di trucchi mentali che distorcono la realtà, facendoci temere sempre il peggio e convincendoci che una mela marcia possa rovinare l’intero frutteto. Diventiamo pittori che dipingono solo con il pennello nero, trascurando le sfumature colorate che la vita offre, coreografi che impongono rigide regole di danza alle proprie emozioni, e persone telepatiche che interpretano pensieri segreti senza prove tangibili. Ma la vita non è una somma di fatti, è una sinfonia di interpretazioni. Il nostro disagio non nasce dagli eventi, ma dal modo di pensare gli eventi e sé stessi di fronte a essi.

Ogni volta che si verifica un evento “A”, si innescano una serie di pensieri “B” che conducono a conseguenze emotive, sensoriali e comportamentali spiacevoli “C”. Partendo proprio dall’esaminare dettagliatamente “C”, in tre colonne, denominate A-B-C, possiamo registrare: quale emozione, sensazione fisica o comportamento indica che qualcosa non va (colonna C); quale evento si è verificato immediatamente prima di provare tale emozione, sensazione o comportamento spiacevole (colonna A, specificando luogo, momento e persone coinvolte); quali pensieri ho avuto riguardo all’evento, agli altri, a me stesso, al mondo o al futuro (colonna B).

Accumulando diversi episodi, caratterizzati da A, B e C, nella colonna A possiamo individuare le circostanze in cui è più probabile sperimentare situazioni spiacevoli, in gergo i “trigger”, che scatenano sentimenti indesiderati e comportamenti non desiderati, mentre nella colonna B possiamo identificare i nostri pensieri disfunzionali, ovvero le distorsioni cognitive, che utilizziamo più frequentemente. Spesso ci troviamo di fronte al paradosso dei pensieri: quei “B” che oggi sembrano non idonei e fuori posto, quando riesaminati attraverso la lente della nostra storia, rivelano una volta per tutte la loro genesi funzionale. Come piccoli eroi nati in circostanze difficili, quei pensieri ci hanno aiutato ad affrontare situazioni passate per poi adattarsi, diventando abitudini consolidate che hanno perso di vista il loro scopo iniziale trasformandosi in schemi invadenti e disfunzionali. Scoprire il potere dei nostri pensieri è come sbloccare un segreto nascosto. Valutando con attenzione quanto essi siano utili e appropriati nella situazione presente, possiamo scovare le radici della nostra sofferenza superflua o dei comportamenti che ci intralciano. È come entrare in un labirinto emozionale e riuscire finalmente a vedere la luce.

Decidere di modificare i pensieri disfunzionali significa prendere le redini della propria mente, trasformando la sofferenza in forza, aumentando l’autostima e diventando architetti delle nostre emozioni. Ciò non solo ci rende più consapevoli, ma ci permette di essere fabbri di noi stessi, dei legami che coltiviamo e delle passioni, quelle vere, che ci guidano.