All’inizio del 1960, è dunque questa la dislocazione dei pezzi sulla scacchiera; con un particolare molto rilevante: i quattro “pianeti” alla sinistra della Dc (Pri, Psdi, Psi e Pci), muovendosi ciascuno sulla propria orbita, si trovano in quel momento allineati nell’intento, variamente motivato ma comune, di obbligare la Dc alla “apertura a sinistra”. Continuando nella metafora “astronomica” si può dire che, in quella posizione, le “forze gravitazionali” dei singoli corpi si sommano; cresce, dunque, obiettivamente la pressione sulla Dc, e si riduce la sua libertà di manovra. Nella storia della politica nell’Italia repubblicana questo allineamento non si era mai verificato. Per la Dc si trattò di “costrizione” o no? Vediamo. Nell’auto di Moro in Via Fani fu ritrovato – come si sa – un articolo destinato alla pubblicazione su Il Giorno. È l’ultimo scritto di Moro libero: si occupa di una discussione fra Amendola e me a dieci anni dal ’68, il cui resoconto era uscito da pochi giorni su l’Unità di cui ero, allora, condirettore. L’intento principale di Moro, è – come lui stesso scrive – di «rettificare il rilievo critico di Amendola circa le scelte a destra che la Democrazia cristiana avrebbe fatto dando il via all’esperienza Tambroni, bloccata dall’indomabile ripresa delle forze democratiche del Paese».

Siamo a quasi venti anni di distanza; l’attenzione di Moro dimostra quanta importanza egli attribuisse a quel passaggio e alla interpretazione che se ne dava. E, ben comprensibile, perché la sua leadership nella Dc si è delineata e consolidata nel corso di quella prova, sulla base di un preciso giudizio strategico. Egli affermò allora che i caratteri, la funzione, la stessa esistenza della Dc dipendevano, alla fine dei conti, dalla disponibilità e capacità di impegnarsi in un confronto realistico e in una collaborazione consapevole e controllata con la sinistra; e di farlo insieme, uniti; in modo che la Dc esercitasse la massima “padronanza” possibile sulla situazione.

La leadership di Moro si è svolta per un ventennio lungo questi binari con assoluta coerenza, dalla incubazione del primo centro-sinistra alle conseguenze estreme della solidarietà nazionale. Moro riconosce che nel luglio ‘60 possono esserci stati «errori anche gravi», ma non «una linea strategica diversa da quella che si venne, mano a mano, chiarendo e realizzando». La “rettifica” di Moro ad Amendola è fondata; la Dc con Tambroni non aveva inteso cambiare la strategia, che restava quella enunciata dallo stesso Moro poche settimane prima a Firenze. Ma uno «sviluppo tattico non ben calcolato – sono ancora parole tratte da quell’articolo – fece danno e provocò gravi e comprensibili reazioni». Ma – viene da osservare – proprio perché la strategia non mutava, si deve fornire qualche spiegazione per quello “sviluppo tattico” in contrasto così stridente con il fine di quella strategia oltre che “obiettivamente pericoloso”.

La prima che viene in mente è una errata valutazione, da parte della Dc, della situazione; e delle posizioni, degli orientamenti delle forze in campo. È probabile che ci sia stata una sopravalutazione della offensiva – peraltro assai rumorosa e aggressiva – della destra clericale, che in alcuni momenti sembrò esprimere la posizione della Chiesa in quanto tale; Pio XII era morto alla fine del 1958 e gli orientamenti del nuovo pontificato non erano ancora ben percepibili. Sicuramente hanno avuto un peso le preoccupazioni per l’unità della Dc, alimentate dalla vicenda Milazzo che, all’inizio del 1960 si stava concludendo, ma che per l’anno e mezzo in cui era stata viva, aveva seriamente allarmato i vertici democristiani. Soprattutto, però, risulta evidente, da parte democristiana, una sottovalutazione dell’”allineamento congiunturale” che si era verificato sulla sua sinistra, e che le tolse quelle occasioni di manovra di cui, in altre circostanze, anche recenti, aveva potuto usufruire.

Ecco le cause politiche degli “errori anche gravi” che Moro riconosce. Guardando, dunque, alla strategia che si era data e che non fu modificata, non si può dire che la Dc sia stata “costretta” da altri a porre fine nel “più breve tempo possibile” all’azzardo, all’errore Tambroni. Ma è indiscutibile che, non ci fosse stata la reazione popolare e la pressione convergente di tutte le forze della sinistra, le cose sarebbero andate diversamente, se non altro sul piano “tattico”; con tempi e modi certamente diversi. Quanto alle considerazioni di Amendola c’è – a mio avviso – più di quello che ci legge Moro. Penso – anche per essere stato nell’occasione il suo interlocutore – che Amendola non fosse interessato a schiacciare la Dc su una posizione di destra, quanto a valorizzare l’allineamento di ​tutte​ le forze della sinistra che si determinò nel luglio ‘60; allineamento che pesò – e come! – nella vicenda Tambroni. Penso che il giudizio positivo di Amendola su quel momento, come la valutazione critica sul ’68, derivino da un orientamento e da un ragionamento del tutto politico.

Amendola avrebbe voluto che l’allineamento (cosa diversa dall’ “unità”) che influì in quel passaggio non fosse un episodio passeggero, congiunturale, ma divenisse la forma permanente delle relazioni fra le forze della sinistra, socialiste e laiche. Quando, nel 1978, ne discusse con me, sapeva bene che quel suo auspicio, quella sua strategia politica non aveva trovato riscontro nei fatti.  Il 1960 restò una eccezione. Sarebbe stato possibile diversamente? Cosa impedì che diventasse permanente? Che fosse preservato anche dopo che l’apertura a sinistra” aveva dato luogo al centro-sinistra “organico”; e dopo che questo si era – rapidamente – esaurito? È un altro capitolo della ​storia della politica​ nell’Italia repubblicana; forse, ormai, è possibile scriverlo senza che le passioni e gli scontri di allora prevalgano sulla serenità e obiettività della ricostruzione e del giudizio storico.

PS – ​Il luglio ’60 io l’ho vissuto. Avevo diciannove anni, ero al secondo anno di università e indossavo anche io, come tutti i giovani di allora le “magliette a strisce”. Scrivendo queste note mi sono detto, come lo scoprissi all’improvviso: ma il ’60 è anche l’anno delle Olimpiadi di Roma! È la stessa estate! Passa appena un mese fra la caduta di Tambroni e il 25 agosto, quando si accende la fiamma della XVII Olimpiade. E mi sono reso conto che fatti così prossimi sono separati non solo – sorprendentemente – nelle cronache e nelle polemiche del tempo, ma nella mia stessa memoria. Eppure, io ero la stessa persona: a Porta San Paolo in mezzo alle cariche e ai lacrimogeni e – dopo poche settimane – a guardare le Olimpiadi, davanti all’apparecchio televisivo appena arrivato in casa mia, come in milioni di altre case italiane. Fra i morti di Reggio Emilia e l’inizio dei giochi passano meno di cinquanta giorni.

Nel ricordo, sono come due epoche lontanissime. Perché? Me lo sono spiegato con la enorme distanza emotiva fra due esperienze: opposte, incompatibili. Cupa, drammatica, paurosa, la scena dei caroselli, degli spari, dei morti; noi che avevamo vent’anni, eravamo sbigottiti, angosciati all’idea di essere risucchiati nel passato. Uno squillo di gioia, di fiducia, un tuffo felice verso un futuro nel quale ogni orizzonte era aperto, ogni speranza si poteva realizzare, la scena di quel pomeriggio del 3 settembre, quando Livio Berruti (un mio coetaneo, come lo erano Lauro Farioli e Ovidio Franchi uccisi a Reggio Emilia) concluse il suo volo di inimmaginabile leggerezza e naturalezza sul filo di lana dell’Olimpico. Quanto di più lontano!! Due Italie opposte; eppure, contemporanee. La prima, purtroppo, l’Italia della politica; l’altra, l’Italia dell’intelligenza, dell’applicazione, dell’ottimismo, pronta a conquistare il suo ventesimo secolo. Quanto più lenta, più insicura, più cattiva la prima! Di tentativi per raggiungere la seconda, per avvicinarsi alla leggerezza di Berruti, ne ha fatti; ma non c’è riuscita. È uno dei motivi, forse, per cui oggi anche l’Italia di Berruti non riesce più a correre, e non ha neppure voglia di farlo.

(Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista Ragioni del Socialismo, fondata e diretta da Emanuele Macaluso)

3 – Continua