Era il 30 luglio del 2014 quando due fratellini, Pippo e Katy, (nomi di fantasia) nel cuore della notte hanno visto la polizia piombare nella loro abitazione e portarsi via i loro genitori. Succedeva a Rosarno (RC): Pippo aveva 13 anni e la bambina appena 10. Il Tribunale dei minori di Reggio Calabria ha affidato i due bambini ai nonni materni con il compito di mantenerli, provvedere alla loro istruzione ma anche di accompagnare i ragazzi a visitare i loro genitori in carcere, perché, nonostante tutto, sia Pippo che Katy continuano a vedere in loro «figure fondamentali di riferimento e dei quali attendono il ritorno a casa» (dalla sentenza di affido).

I nonni non si sottraggono. Ed oggi i due ragazzi sono dei bravi liceali che frequentano la scuola con ottimi risultati. E lo “Stato”? Non pervenuto. Il nonno ha fatto il giro delle sette chiese per chiedere il contributo previsto da una legge dello Stato ( n. 149/2001 art.5) e da analoga legge dalla Regione Calabria. Inutilmente. Il diritto è stato negato! La pigrizia della burocrazia, s’è sommata al disinteresse degli organi dello Stato e della Regione, totalmente assenti nonostante siano in gioco le disposizioni sui minori riconosciuti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991. Il mantenimento dei minori, fino a questo momento, è ricaduto interamente sulle spalle del nonno che è l’unico della famiglia ad avere un lavoro. Siamo venuti a conoscenza del “caso” perché i nonni dei ragazzi, stanchi e disperati, e dopo essersi rivolti inutilmente a tutte le autorità dello Stato e di Regione Calabria, sono arrivati a Rita Bernardini, del Partito radicale, che minaccia di iniziare uno sciopero della fame qualora la burocrazia statale e regionale perseverasse nel colpevole torpore.

I calabresi in carcere rappresentano il 6,2% del totale dei detenuti sebbene la Calabria abbia appena il 3% della popolazione italiana. Quanti sono i casi come quelli di Pippo e Katy? Non lo sappiamo! Una cosa però appare certa: se i due ragazzi non avessero trovato dei nonni attenti e responsabili, il loro avvenire sarebbe stato segnato ed in un futuro prossimo, molto probabilmente, lo “Stato” sarebbe stato costretto a combatterli perché collocati dall’altra parte della barricata. In Calabria si spendono ogni anno milioni e milioni di euro in una presunta lotta contro la ‘ndrangheta caratterizzata da squadroni di militari armati sino ai denti, da auto blindate di ultima generazione e scortate come fossimo a Kabul, convegni a iosa e provvedimenti repressivi a strascico. Ma nessuno si cura di bonificare il terreno su cui il crimine attecchisce. E così un diritto negato oggi, si “traduce” molto spesso in un criminale da combattere domani. E purtroppo c’è chi dei criminali ha bisogno come l’aria per giustificare la presenza sul territorio calabrese del più imponente apparato repressivo dell’Europa occidentale. Il “caso” di Pippo e Katy è l’ulteriore dimostrazione di quanto faccia comodo la “Calabria criminale” per non affrontare seriamente la questione meridionale.