La Strage del rapido 904, conosciuta anche come Strage di Natale, è il nome attribuito all’attentato avvenuto nell’antivigilia di domenica 23 dicembre 1984 nella Grande Galleria dell’Appennino, subito dopo la stazione di Vernio, ai danni del treno rapido n. 904 proveniente da Napoli e diretto a Milano. L’atto terroristico avvenne nello stesso tratto di binari dove 10 anni prima si era consumata la strage del treno “Italicus”, e segnò il passaggio dal terrorismo alla guerra di mafia degli anni ’80-’90. Infatti è stato indicato dalla Commissione Stragi come un evento precursore dell’epoca della guerra di mafia dei primi anni novanta del per le modalità organizzative e per i personaggi coinvolti.

LA STORIA – Partito poco dopo mezzogiorno dalla stazione di Napoli Centrale, il treno rapido 904 pullulava di passeggeri in viaggio per le festività natalizie. Il percorso prosegue senza problemi fino a quando il convoglio imbocca la galleria ferroviaria più lunga d’Europa nel cuore dell’Appenino. Giunto in località Vernio, il treno viene dilaniato da una fortissima esplosione di ordigni contenuti in due valigie, innescate da un telecomando e posizionate durante la sosta alla stazione Santa Maria Novella di Firenze. Il treno devastato dalla carica esplosiva si blocca nel buio della galleria; tutti i finestrini esplodono, la linea elettrica è interrotta e resta bloccato a 10 chilometri dall’uscita in direzione Bologna. La bomba causa 16 vittime e 267 feriti. Il primo a dare l’allarme è stato il controllore Gian Claudio Bianconcini, al suo ultimo viaggio in servizio, il quale non solo chiamò i soccorsi da un telefono di servizio presente in galleria ma diede anche prima assistenza ai feriti.

Non appena la comunicazione dell’esplosione nella galleria ferroviaria dell’Appennino, la Direttissima, arriva alla centrale operativa del 115 di Bologna subito si attivano i primi soccorsi. In attesa dei vigili del fuoco i feriti meno gravi cominciano ad avviarsi a piedi verso l’uscita Nord, dove ad attenderli troveranno poco dopo i pompieri pronti a salvarli. Quando il convoglio deflagrato giunge alla stazione di San Benedetto, arrivano anche le ambulanze di Bologna Soccorso, la centrale operativa che diventerà il primo nucleo del 118 in Italia.

LE INDAGINI – Le prime rivendicazioni arrivate ai giornali e alle agenzie di stampa sull’attentato si rivelano in realtà contraddittorie. L’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, nel suo ultimo messaggio di fine anno, commentò l’attacco dicendo: “Cinque stragi abbiamo avuto, tutte lo stesso marchio d’infamia, e i responsabili non sono stati ancora assicurati alla giustizia. I parenti delle vittime, il popolo italiano non chiedono, come qualcuno ha insinuato, vendetta, ma chiedono giustizia”. Il Capo dello Stato aggiunse che i servizi segreti erano stati rinnovati: “Mi hanno detto che vi sono persone molto valide, oneste. Gli antichi servizi segreti erano stati inquinati dalla P2, da questa associazione a delinquere. Ebbene i nuovi servizi segreti cerchino di indagare, non si stanchino di indagare, non si fermino ad indagare soltanto in Italia, vadano anche all’estero, perché probabilmente la sede centrale di questi terroristi si trova all’estero”.

La Corte d’assise di Firenze, il 25 febbraio 1989, condannò alla pena dell’ergastolo Giuseppe Calò, Guido Cercola e altri imputati legati al clan camorristico Misso con l’accusa di strage. Inoltre, condannò a 28 anni di detenzione Franco D’Agostino, a 25 anni Schaudinn, e condannò altri imputati nel processo per il reato di banda armata. Nella celebrazione del secondo grado le condanne all’ergastolo per Calò e Cercola furono confermate, mentre la pena di Di Agostino fu ridotta da 28 a 24 anni. Misso, Pirozzi e Galeota furono invece assolti per il reato di strage, ma condannati per detenzione illecita di esplosivo. Il tedesco Schaudinn venne invece assolto dal reato di banda armata, ma fu confermata la sua condanna per strage con pena ridotta a 22 anni. Nel 1992 la Corte d’assise d’appello di Firenze confermò gli ergastoli per Calò e Cercola, condannò Di Agostino a 24 anni e Schaudinn a 22. Misso fu condannato a tre anni per detenzione di esplosivo, mentre le condanne di Galeota e Pirozzi furono ridotte a un anno e sei mesi ciascuno. La quinta sezione penale della Cassazione dello stesso anno confermò nuovamente la sentenza riconoscendo la matrice terroristico-mafiosa dell’attentato.