Nel ‘93, quando Zeruya Shalev esordisce con il suo romanzo, la letteratura in Israele è dominata da Amos Oz, David Grossman, A.B. Yehoshua e Aharon Appelfeld. Poi d’improvviso lei, così barocca e moderna, intima, spericolata, lei che evita i temi della letteratura nazionale, come il conflitto israelo-palestinese o l’Olocausto, e che al grande affresco preferisce il ritratto in miniatura: l’amore, la coppia, i figli. Quando sarà una delle voci più apprezzate della narrativa contemporanea, in un’intervista dichiara: “La letteratura mi è troppo cara per sporcarla con la politica”.

Vero fino a un certo punto, dato che la politica, quanto la religione, entrambe così avviluppate alle radici del suo paese, restano in ogni storia sullo sfondo. Come in Dolore, in cui Iris pensa di essersi lasciata alle spalle i due traumi della sua vita: l’abbandono da parte del primo amore e, anni dopo, l’attentato di cui è rimasta vittima. A distanza di tempo dalla bomba fatta esplodere a un passo da lei, Iris non può aspettarsi che riaffiori tutto e tutto insieme, in una partitura così brutalmente precisa nel far deragliare ciò che era riuscita a conquistarsi da sembrare quasi una beffa. E invece. Fu durante la Seconda Intifada, nel 2004, che Shalev, tornando a Gerusalemme, venne ferita da un ordigno esploso in un autobus di passaggio. Rimase a letto per mesi. Dopo dieci anni, il trauma di quell’esperienza si tramuta in letteratura. Ma attenzione: non si parli di scrittura come terapia. In una conferenza alla Jewish Book Week, l’autrice insiste sul fatto che la scrittura è terapeutica solo per i personaggi. “I personaggi che creo sono invischiati in una crisi e, come terapista letteraria, è mio compito aiutarli a superarla”.

La chiave d’accesso ai pensieri dei protagonisti che Shalev fornisce ai lettori è un flusso di coscienza assemblato in ipotassi sorprendenti, a volte così lunghe da togliere il fiato, passato e presente si mescolano in un vortice di vita vissuta, ricordata o ipotizzata, che ci conduce sempre più a fondo nell’intimità di chi, non solo agisce, ma sente, soffre, maschera, soprassiede e poi in silenzio si pente. Prima di Dolore, Shalev ha pubblicato Dancing, Standing Still, non disponibile in italiano, Una storia coniugale, Dopo l’abbandono, Quel che resta della vita – editi da Feltrinelli. L’ultimo romanzo è Stupore (leggetelo!), in cui il viaggio di Atara consiste nel ritrovare la centenaria prima moglie di suo padre e sentirla parlare della stagione in cui entrambi facevano parte della resistenza clandestina contro gli inglesi, prima della fondazione dello stato d’Israele. Shalev scrive di vite immerse in un paese segnato da millenari dolori e insanabili conflittualità, vite che non possono che maturare in altrettante contraddizioni. I protagonisti sono travolti dalla forza di amori coniugali e adulterini, filiali, materni, sempre oscillanti fra lo scocco di una vicinanza e il distacco. È questo il perimetro instabile in cui l’autrice si muove, il più complesso, dato che la obbliga a immergersi nell’inesauribile conoscenza dell’animo umano. Alla fine, dei personaggi sappiamo tutto, non solo i pregi, i difetti, i desideri o le rinunce, ma anche perché il tavolo dove si consuma l’ultima cena fra moglie e marito abbia una gamba che traballa dall’estate scorsa.

Siamo lì, accanto a loro, fra le pieghe delle loro domande, consapevoli di quanto uno strappo a volte è il meglio che, nella tempesta, ci si possa augurare. In Una storia coniugale, riflettendo su un matrimonio in crisi, scrive: “Mi tornano in mente le madri che venivano all’Istituto per l’infanzia a trovare i loro figli affidati ad altri, i loro sorrisi fissi, come alienati, sapevano che era vicino il momento dell’addio, erano stanche di lottare, non volevano altro che fosse tutto finito, ansiose ormai di quella libertà che avviene quando i sentimenti, dopo essere tracimati, si pietrificano, di quella spaventosa felicità che procura la rinuncia”.
Incredibile delicatezza e ruvido realismo: questa la cifra di un’autrice che vola alto sopra agli altri.

Annalisa De Simone

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