Se il calcio italiano sta attraversando un periodo difficile, la sua declinazione su tavolo non conosce nessuna flessione. Gli azzurri del Subbuteo continuano a mietere successi, come è successo anche ai recenti campionati europei di Calcio da tavolo di Gibilterra, dove l’Italia per nove volte su dodici ha occupato il gradino più alto del podio. Dei nove ori, quello più splendente è ovviamente quello della competizione a squadre, in cui i nostri giocatori si sono imposti con il golden gol al Belgio.
Le immagini della rete decisiva (dopo il 2 a 2) dei tempi regolamentari hanno spopolato in rete e sui social media, complice l’esultanza incontenibile dei suoi protagonisti. Più che il gesto tecnico, in molti avranno rivisto in quel colpo d’indice gli interminabili pomeriggi trascorsi sul tavolo verde insieme agli amici, quando ancora non esistevano i videogame e quel campo in miniatura era il miglior modo per ricreare lo sport più amato dalle persone.

Eppure negli anni, lungi dal rimanere un semplice gioco da tavolo, il Subbuteo è divenuto un vero e proprio sport. Nato in Gran Bretagna nel 1947 e giunto in Italia nel 1971, il calcio che si gioca in punta di dito viene riconosciuto nel 1995 dalla Federazione Italiana Sportiva Calcio Tavolo, cui attualmente sono affiliati oltre cento club su tutto il territorio nazionale e oltre 1.500 tesserati. Un vero e proprio sport, con competizioni a tutti i livelli territoriali, dai regionali fino agli incontri internazionali come gli europei a Gibilterra appena conclusi, che ha visto ben 400 partecipanti di ogni età provenienti da 13 nazioni. O come i Mondiali, altro grande appuntamento del Calcio da tavolo, che nel 2022 si sono svolti a Roma e che hanno visto, anche in quell’occasione, trionfare gli azzurri in più categorie contro le nazionali di altri 26 paesi.
Abbiamo chiesto ad Andrea Piccaluga, campione degli anni Ottanta e autentico mito per intere generazioni di subbuteisti, come si spieghi questa longevità del gioco e come mai l’Italia non abbia mai smesso di sfornare campioni.

“Sinceramente non riesco a dare una spiegazione razionale; vero è che questo gioco ha in sé elementi unici che lo rendono straordinari” spiega Piccaluga. Quali? L’elenco è breve: la fisicità, la combinazione dell’uso del dito e della mente, le sensazioni che lo rendono qualcosa di inimitabile, anche per consolle e videogiochi di ultima generazione. “Il Subbuteo permette di provare sensazioni magiche che nessun videogioco potrà mai regalare. La scatola che custodisce le miniature, il fazzoletto con le cui luci dei giocatori, il loro profumo. Ecco il profumo, la dimensione olfattiva rende questo gioco davvero unico. Poi c’è la rete che si gonfia e questo è ovviamente fantastico” prova a far capire l’ex campione del mondo che ricorda ancora il giorno in cui sollevò al cielo la coppa più importante. “In realtà la cosa che ricordo con maggior piacere è la semifinale: la vinsi ai calci di rigore e ancora oggi mi diverte riguardare le immagini della conclusione. Tutti correvano ad abbracciarmi, ma io mi chinavo per rimettere a posto gli omini. Perché per un giocatore, la cosa più importante è rimettere tutto a posto al termine della partita” ricorda Piccaluga che adesso lavora al Sant’Anna di Pisa.

“Ovviamente il Subbuteo non c’entra niente con la mia professione” ammette “però in alcuni momenti è stato utile per rompere il ghiaccio; non di rado ho scoperto che il mio interlocutore aveva giocato come me in passato e spesso ci siamo abbracciati felici”. Piccaluga non gioca più, sono lontani i giorni delle sfide internazionali, del suo indice assicurato per milioni di lire e delle sue foto sui cataloghi ufficiali del Subbuteo. “Ogni tanto mi riprometto di entrare in un circolo e riprovare quelle emozioni, forse un giorno lo farò” dice. Perché il Subbuteo, una volta entrato nel cuore, non esce più. E ogni tanto l’indice che si muove sul tavolo sta lì a ricordartelo.