La crisi innescata dalla pandemia non fa bene allo sviluppo sostenibile. Tra i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 approvata dalle Nazioni Unite cinque anni fa, la crisi colpisce duramente quelli relativi alla povertà (in aumento), alla salute (in peggioramento), all’educazione di qualità (in riduzione), al lavoro e alle imprese (in netto peggioramento) e alle disuguaglianze (in aumento). D’altra parte, i miglioramenti attesi per il 2020 in termini di riduzione dell’inquinamento, degli incidenti stradali o dei furti non sono minimamente in grado di compensare i drammatici effetti economici e sociali della crisi. Se non si parte da qui non si comprende perché la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, che fin dalla sua costituzione, un anno fa, ha fatto dell’Agenda 2030 e dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile l’architrave delle sue politiche, abbia messo tematiche come il Green new deal, la digitalizzazione, l’aumento della resilienza e la lotta alla povertà al centro dei piani per il rilancio.

La “Roadmap per la ripresa: per un’Europa più resiliente, più sostenibile e più giusta” presentata al Consiglio europeo di aprile (e ben poco conosciuta in Italia) descrive chiaramente la filosofia con la quale la Commissione intende usare la ripresa economica per cambiare in profondità il modello socioeconomico europeo, coniugando elevato benessere economico con l’attuazione del “pilastro sociale” e la lotta al cambiamento climatico, considerato dalla Commissione un pericolo altrettanto grave dell’attuale pandemia. Da qui nasce l’impostazione del fondo “Next Generation EU” e del “Recovery and Resilience Facility” e non a caso la Commissione propone che la governance di questo processo ruoti intorno al “Semestre europeo” (cioè il processo di coordinamento delle politiche economiche e sociali), già reimpostato in base ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, al Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec), che guida le politiche orientate alla decarbonizzazione dell’Unione europea entro il 2050, e all’iniziativa per la “Giusta transizione”. Se si guarda alla distanza tra questa impostazione e il tono del dibattito pubblico italiano, direi che l’Italia non ha compreso il profondo cambiamento di impostazione che caratterizza la Commissione europea guidata dalla von der Leyen rispetto a quella guidata da Juncker.

Quando la Commissione dice che il Green new deal è “la strategia di crescita” dell’Unione europea; quando la Banca europea degli investimenti decide di non finanziare più progetti basati sulle energie fossili; quando viene deciso che il Documento di economia e finanza (Def) debba essere presentato in termini di Obiettivi di sviluppo sostenibile; quando la Germania indica tra gli obiettivi della propria presidenza di turno la definizione di un sistema di governance che metta l’Agenda 2030 al centro di tutte le politiche, cioè quando si “uniscono i puntini” delle iniziative europee dell’ultimo anno allora si capisce che ciò che sta avvenendo è una modifica profonda delle politiche europee, e non una “spruzzatina di verde” sulle politiche economiche del passato. E tutto questo è iniziato ben prima della pandemia e continuerà anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria perché si tratta di un tentativo di costruire un’Europa diversa e migliore di quella attuale, di cui il nostro Paese deve e può essere uno dei protagonisti.

Dunque, se l’Italia intende giocare questo ruolo e pensa di utilizzare i nuovi strumenti finanziari europei per stimolare il sistema economico a superare la drammatica crisi nella quale si trova e cambiare il nostro modello di sviluppo, deve al più presto “resettare” il modo in cui pensa al proprio futuro, allineandolo non solo al linguaggio delle istituzioni europee, ma anche alle finalità che esse perseguono. Ed è questa la sfida maggiore di fronte alla quale ci troviamo perché si fa presto a invocare parole come “digitalizzazione”, “transizione ecologica”, “lotta alle disuguaglianze” e “semplificazione”. Molto più difficile è darsi una strategia complessiva per la trasformazione delle politiche economiche, sociali e ambientali nella direzione dell’Agenda 2030, da perseguire poi in modo coerente e persistente negli anni a venire a livello centrale, ma anche a livello locale, viste le tante competenze in materia che possiedono le regioni e gli enti locali. Ebbene, non sembra che questa consapevolezza sia al centro del dibattito nazionale, caratterizzato da continue prese di posizione su come usare fondi che non sono stati ancora definiti, o su come non usare fondi che invece sono stati definiti (come il MES); su “libri dei sogni” senza legami con le finalità per i quali saranno utilizzabili i fondi europei, o su “liste della spesa” in cui c’entra tutto e il contrario di tutto.

Senza alcuna attenzione a temi di carattere istituzionale, così da assicurare la coerenza delle politiche, a partire dalla creazione di un sistema adeguato di valutazione ex-ante delle politiche, uno dei maggiori punti di debolezza del nostro Paese. Per procedere nella direzione giusta, coniugando le ragioni dell’urgenza di affrontare un autunno che si annuncia difficilissimo, con la necessità di riorientare ad uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale, il primo impegno dovrebbe essere proprio quello di valutare ogni futuro intervento legislativo alla luce dell’Agenda 2030. Il Parlamento ha già votato una risoluzione in questo senso, sposando la proposta dell’ASviS che prevede l’inserimento nella relazione illustrativa di ogni provvedimento l’impatto atteso in termini dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Parallelamente il Presidente del Consiglio dovrebbe indicare ai propri Ministri, come la von der Leyen ha fatto ai propri Commissari, che ogni loro atto deve andare in questa direzione, così da renderli maggiormente accountable anche nei confronti del Parlamento. Secondariamente, il Piano per il rilancio dell’Italia andrebbe declinato secondo l’Agenda 2030. Questa scelta anticiperebbe ciò che Commissione e Presidenza tedesca si aspettano d’ora in avanti. Inoltre, l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) dovrebbe essere potenziato per farne il valutatore delle politiche proposte dal Governo e di quelle approvate dal Parlamento rispetto all’Agenda 2030. Anche in questo caso, sarebbe una scelta in linea con l’impostazione europea, che aumenterebbe la credibilità del nostro Paese agli occhi dei partner e soprattutto migliorerebbe la qualità della legislazione, evitando un effetto “tela di Penelope” dovuto a politiche contraddittorie.

Infine, il Parlamento dovrebbe discutere rapidamente la proposta di legge che introduce il principio di sviluppo sostenibile in Costituzione, come già fatto da Belgio, Francia, Norvegia e Svizzera. Sarebbe un modo per inserire tra i principi fondamentali della Repubblica la giustizia intergenerazionale, oggi assente, e per assicurarsi che le future leggi guardino alle nuove generazioni in modo profondamente diverso dal passato. Peraltro, sono proprio le giovani generazioni a pagare il prezzo più alto di questa crisi e su di esse peserà il carico del debito pubblico, destinato ad aumentare in modo consistente come effetto delle politiche di rilancio. Non entro in questa sede nelle specifiche proposte di intervento, per le quali rinvio al Rapporto dell’ASviS pubblicato il 5 maggio. Peraltro, molte di quelle proposte sono state riprese nel Rapporto Colao, che indica proprio nell’innovazione e digitalizzazione, nella transizione ecologica e nella lotta alle disuguaglianze, prima di tutte quella di genere, gli assi su cui impostare le politiche settoriali. Insomma, la più grande delle sfide da affrontare è quella della coerenza delle politiche ed è per realizzarla appieno che dobbiamo dotarci di strumenti innovativi.

L’alternativa è quella di procedere in ordine sparso, con il rischio di sprecare tante risorse e di non ottenere i risultati voluti. Ripartire all’insegna dello sviluppo sostenibile è anche questo e l’alternativa allo sviluppo sostenibile è lo sviluppo insostenibile. Direi che dell’insensatezza di un tale approccio, di cui la pandemia è una delle tante conseguenze, è qualcosa di cui ormai dovremmo essere tutti convinti.