I pilastri su cui poggia la proposta di legge di bilancio sono la politica monetaria che resta espansiva e, dunque, consente il mantenimento del ridotto onere sostenuto dal Tesoro nel servizio del debito, la sospensione del Patto di stabilità e il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Su queste basi e sulla conferma, o comunque sulla non modifica, della linea più volte esposta dal Premier Draghi secondo la quale è ancora la fase in cui lo Stato deve dare non ricevere, la proposta in questione ha trovato molto meno difficile che negli anni passati raggiungere, dopo discussioni che pure non sono mancate su singoli punti, l’unanimità del Consiglio dei Ministri seguita da un applauso scrosciante , che dovrebbe essere riservato, però, com’era nel teatro greco, a pezzi di bravura eccezionale che in questo caso, non sembra ricorrano.

Molto dipenderà dalla crescita del Pil a proposito della quale Draghi ha detto che deve essere equa, sostenibile, fondata sulla coesione sociale, ma deve essere crescita che, nell’anno, si attesterebbe a oltre il 6% e nel prossimo a oltre il 4%. Con l’esistente disponibilità di risorse, la manovra ha bilanciato, “more solito”, ciò che si “dà” a una parte e ciò che si “dà” all’altra della composita maggioranza (nihil sub sole novi rispetto a quanto accadeva nella cosiddetta prima Repubblica) insieme con ciò che non si accoglie delle richieste di una forza politica con quel che non si accoglie di un’altra forza politica. Si dirà: questo è purtuttavia un inevitabile metodo per portare in porto le leggi finanziarie. Però, se permane il reiterato indirizzo draghiano di non pensare ancora al debito e di assumere l’orientamento prevalente del “dare”, allora ci si sarebbe potuto aspettare una ancora maggiore dotazione di risorse per contribuire a trasformare il rimbalzo post-crisi in una crescita con fondamenta solide e, dunque, duratura.

Ma il punto più delicato riguarda le non decisioni su quei punti nei quali è principalmente messa alla prova la capacità di governare: le pensioni, per le quali si ricorre a una misura di transizione con “quota 102” perché non si è in grado oggi di scegliere e di affrontare una riforma organica e strutturale della previdenza, la riduzione delle tasse che, forse per la prima volta nelle vicende riguardanti il rapporto Governo-Parlamento, vede l’istituzione di un fondo di 8 miliardi (mentre il complesso delle programmate riduzioni è di 12 miliardi) sulla cui destinazione, dovendosi scegliere tra interventi sul cuneo fiscale o riduzione dell’Irpef e/o dell’Irap ovvero, ancora, altre misure, l’Esecutivo non si pronuncia e rinvia pilatescamente alle decisioni delle Camere. Così rinuncia a esprimere la propria linea su di una materia, fondamento della democrazia, classica della governabilità, a proposito della quale si dovrebbe indicare quali categorie di cittadini debbono essere favoriti dall’azione dell’Esecutivo e quali no.

Lo stesso si dica, pur non facendo parte in senso stretto della manovra, per la proposta di legge di riforma della normativa sulla concorrenza – che del pari pone problemi di scelte impegnative – rinviata ancora una volta (se ne parlerà nel Consiglio dei Ministri di giovedì, 4 novembre), mentre avrebbe dovuto essere varata nel luglio scorso, secondo il cronoprogramma. Certamente il contesto non è facile, soprattutto dopo la “tagliola” che ha affossato il ddl Zan e che non può non avere riflessi ultrattivi nei rapporti tra le forze della maggioranza. Contribuisce l’ ormai aperto almanaccare sul futuro del Quirinale che, in diverse varianti, si concentra su Draghi con la proiezione governativa del fedele Ministro dell’economia Daniele Franco: cosa che ha provocato una imbarazzata mezza risposta del Premier a una domanda rivoltagli nella recente conferenza-stampa.

Intanto, si avvia la discussione a livello europeo sul futuro del Patto di stabilità con alcune proposte che cominciano ad emergere e non sono le migliori possibili: tutt’altro, perché si danno cura di non incidere sul Patto stesso, ma solo su alcuni aspetti, e non principali, della sua struttura. In questo contesto, una più incisiva capacità di proporre e di decidere è cruciale, anche per fugare ipotesi di bilanciamenti nella prospettiva di sostegni futuri. È sperabile, però, che ai necessari passi avanti provveda il Parlamento, anche se mostrare un qualche scetticismo sulla volontà di andare oltre un “do ut des” tra i partiti potrebbe risultare non fuori luogo.