Avvocato, cosa c’è negli atti che avete depositato come difensori in difesa di Gabriele Bianchi? Abbiamo letto di “appello shock dei difensori”.
Temo purtroppo che il solo fatto che il mostro faccia appello, si dichiari innocente del reato di omicidio doloso, contesti le testimonianze e le consulenze, per la stampa italiana sia scioccante. Peraltro, non è una novità, visto che anche nel corso del processo aveva detto di non aver colpito Duarte. Il fatto è che in certi casi la stampa interpreta alla lettera il sentire comune: sei un mostro? non hai diritti, neppure quello di difenderti. Vale per Bianchi, per i capimafia, per tutti quelli distrutti sui media prima di essere giudicati. Premesso che con l’avvocato Ippolita Naso sono intervenuto al momento dell’appello, qui la faccenda non si esaurisce nella mostrificazione dell’imputato, che pure c’è stata, ma nell’alterazione dei meccanismi del giudizio.

Quali meccanismi del giudizio sarebbero stati alterati?
Analizzando le carte del processo ci siamo accorti che molte delle dichiarazioni testimoniali le quali, anche in maniera contraddittoria tra loro, sono state poste alla base della condanna, sono progressivamente cambiate nel tempo in virtù delle informazioni che, illecitamente, comparivano sui media. Addirittura, c’è stato chi, interrogato a poche ore dal fatto aveva ammesso di non essere in grado di ricostruire l’episodio, o di riconoscere Gabriele, poi nel dibattimento gli ha attribuito il colpo letale.

Ma i testimoni sono tanti!
Quanto ho detto vale per un bel numero di essi. L’intera azione è durata quaranta secondi, di notte, in posto poco illuminato. Cioè in condizioni tali da rendere le testimonianze oculari per definizione terreno di informazioni da sottoporre ad un vaglio rigoroso. Non bisogna essere giuristi, o esperti di psicologia giudiziaria. C’è un teste che sulle prime non sa dare dettagli, poi nel corso delle indagini identifica Gabriele Bianchi come colui che ha colpito Duarte, perché l’aggressore aveva i capelli biondi. Il fatto è che Gabriele Bianchi quella sera non aveva i capelli di quel colore, però li aveva in alcune delle foto che hanno iniziato a girare subito sul web. Il teste riconosce un particolare inesistente. Lo fa in buona fede, si badi. Così come ci sono molti testi che arricchiscono i loro ricordi man mano che passa il tempo e si moltiplicano le informazioni sulle chat e sui social.

La sentenza assume che questo meccanismo di arricchimento del ricordo sia perfettamente normale.
È sbagliato, è una massima di esperienza che contraddice le nozioni più elementari delle scienze cognitive che dimostrano, anche in maniera sperimentale, che questa è una affermazione errata: se arricchisci il ricordo è perché hai avuto altre informazioni rispetto a quello che hai visto. La cosa normale è che si ricordi meglio prima. Dopo il ricordo sfuma. È su questa considerazione che si fonda anche la regola del processo che permette di rammentare ai testimoni le precedenti dichiarazioni, il così detto meccanismo delle contestazioni. Succede spesso che la maggior parte dei cronisti giudiziari chieda gli atti di appello ai difensori (quando lo fa) e poi va a farseli spiegare dall’accusa, pubblica e privata, e alla fine escono fuori titoli come quelli che stiamo commentando, che non sono cronaca ma propaganda. Nel nostro atto si indicano cose serie – come, ad esempio, il fatto che non ci risultano depositate prove documentali di cui si è discusso nel processo – che avrebbero dovuto muovere i cronisti a chiederci lumi sulla questione, Lei li ha sentiti? Io no, solo una giornalista prima di pubblicare ha chiesto spiegazioni.

Quali sono gli altri temi delle impugnazioni?
Ce ne sono assai, e ne discuteremo nel processo perché i processi li faccio in tribunale, qui sto solo dicendo che l’informazione su questo caso è una schifezza e fa folklore sugli appelli.

Cosa avete contestato?
Le risultanze medico legali, sia nel metodo che nel merito. Le abbiamo contestate attraverso l’opinione del professor Costantino Ciallella che spiega come la tesi della cosiddetta commotio cordis, cioè il colpo al petto che si attribuisce a Gabriele Bianchi – e che, lui sia chiaro, nega di aver dato – è comunque contraddetta dal fatto che, proprio i testi, raccontano che dopo quel colpo la vittima si è rialzata ed ha fatto dei gesti. Cosa impossibile se fosse vera la commotio. Abbiamo dimostrato che la tesi del colpo mortale, quasi rituale, che avrebbe dettato “le regole di ingaggio”, come si dice in sentenza per giustificare il dolo eventuale di omicidio volontario ed escludere la preterintenzione, è fondata su di una falsa informazione che vuol quel colpo vietato persino nelle arti marziali. Non è vero, sarebbe bastato aprire un manuale della federazione per verificarlo.

Cosa chiedete?
Chiediamo che si faccia un processo giusto, e tale non è quello che ho letto: l’enormità della pena lo dimostra. Hanno riconosciuto il dolo eventuale e dato l’ergastolo, già questo fa riflettere. E alla stampa chiediamo di lavorare con onestà, leggendo le carte senza occhiali foderati dai preconcetti, e anche di lasciar da parte gli algoritmi quando hanno in mano il destino delle persone.

Cosa c’entrano gli algoritmi?
Glielo spiego subito perché dimostra che sbatter il mostro in prima pagina non è, soltanto, subcultura giudiziaria ma è dovuto anche a motivi più prosaici. Questa estate, quando sono stato nominato, su di un quotidiano hanno scritto, inventandosi la circostanza di sana pianta, che il mio nome era stato consigliato a Bianchi da un altro detenuto, mio cliente, da poco giudicato per l’omicidio di Luca Sacchi che aveva evitato all’ergastolo. Risultato? Una balla costruita solo sulla coincidenza del difensore e un titolo pulp secondo il quale il “Killer di Sacchi consiglia a Bianchi il suo avvocato… per evitare l’ergastolo”. Ora, al di là del fatto che la cosa non era vera, vederla pubblicata per diversi giorni di fila mi ha mosso, oltre a fargli i complimenti per la fantasia, a chiedere ai cronisti di quella testata cosa ci sarebbe stato di tanto interessante se un detenuto avesse consigliato ad un altro il proprio avvocato, visto che succede mille volte al giorno in tutte le carceri italiane. Sa la risposta? “Avvocato ha ragione, non è una notizia ma nella riunione del mattino il capo ci ha detto che l’algoritmo segnala che i Bianchi sono in cima ai click, ergo tocca scrivere di loro.” Il bello è che l’esistenza dell’”algoritmo capo redattore” mi è stato confermato da altri cronisti giudiziari. Anche Michele Serra, in prima pagina su quello stesso giornale, si è chiesto se con i fratelli Bianchi non si fosse un po’ esagerato. “Non gliela faccio più di vedere le loro facce ogni volta che accendo il computer” ha scritto. “Il male va mostrato” l’ineffabile risposta del suo direttore. Alla faccia della corretta informazione e della presunzione di innocenza scritte in Costituzione, evviva l’algoritmo che ci fa incassare quattrini. E non mi risponda “È la stampa bellezza!” perché la stampa dovrebbe essere una cosa più seria.