La mostra a Rovigo
Tina Madotti: l’opera. Fotografie senza artifici
Un evento che è un omaggio fondamentale e dovuto a una donna indipendente, fuori dagli schemi, non solo per la sua vita avventurosa ma anche per il suo lavoro di fotografa.

La libertà della sua vita è la libertà del suo lavoro. La mostra “Tina Modotti. L’opera”, aperta a palazzo Roverella di Rovigo fino al 28 gennaio, è un omaggio fondamentale e dovuto a una donna indipendente, fuori dagli schemi, non solo per la sua vita avventurosa ma anche per il suo lavoro di fotografa, a cui anzi il poderoso corpus di lavori esposti – trecento immagini, molte delle quali inedite – rende finalmente giustizia. Non a caso il titolo scelto per la grande retrospettiva è “L’opera”, un modo per rendere esplicita la volontà di sottolineare il valore assoluto e centrale dei suoi scatti, che ne fanno una delle figure più importanti del panorama fotografico mondiale del Novecento.
Personaggio indubbiamente affascinante, nata a fine ‘800 a Udine da una famiglia operaia ed emigrante, vissuta in otto paesi diversi, fluente in cinque lingue, conobbe durante i suoi viaggi intellettuali, artisti e politici di rilievo e si sperimentò in innumerevoli carriere, da quella di attrice a quella di traduttrice, passando per l’attivismo politico e la scrittura. Anche per questo forse la carriera di fotografa di Modotti è finita troppo spesso in secondo piano rispetto alla narrazione del suo percorso umano così avventuroso; eppure la qualità delle sue opere è innegabile, come dimostra questa grande esposizione che consente di cogliere l’ampio spettro di interessi e di soggetti scelti dall’artista – perché tale è stata, nonostante guardasse con sospetto a questa definizione.
Dagli edifici alle emozionanti immagini di bambini, dalle elegantissime composizioni di fiori agli oggetti folkloristici, dai focus sulle singole parti del corpo agli intensi ritratti di donne, catturate principalmente in quel Messico che ebbe tanta parte nella sua esperienza – sorta di terra d’elezione che la conquistò per luce e colori, ma anche per il tessuto sociale e tradizionale vivacissimo – le sue immagini pur nella grande diversità esprimono la medesima asciutta eleganza comunicativa, il tratto essenziale di cui Modotti faceva una bandiera, un principio filosofico: «Desidero fotografare ciò che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore», diceva. Una capacità, la sua, di raccontare la realtà partendo dai suoi dettagli, riuscendo a comunicare la complessità di mondi interi partendo da singole figure, quando non addirittura da frazioni di esse. Come le immagini esposte dimostrano forse per la prima volta in modo così puntuale, Modotti sapeva emozionare e arrivare in profondità proprio nel momento in cui cercava di catturare senza edulcorazioni o artifici la realtà che aveva davanti agli occhi. Una dimensione specifica che seppe ritagliarsi rendendosi autonoma dalle modalità del suo maestro, Edward Weston, uno dei più grandi fotografi della storia.
Le fotografie esposte risalgono tutte a un periodo preciso, tra il 1923 e il 1929, anno dopo il quale Tina venne esiliata dal Messico per vicende politiche e, ritornata in Europa, smise praticamente di fotografare. In mostra sono visibili anche documenti, abiti e oggetti appartenuti alla fotografa, oltre alla ricostruzione per la prima volta in modo completo dell’unica mostra fotografica personale che fece in vita sua, a Città del Messico, nel 1929.
È l’occasione insomma di scoprire, o meglio riscoprire, il talento di una donna che ha attraversato il Novecento come una supernova, intensa e velocissima – morì a soli 45 anni -, come ha spiegato il curatore della mostra, Riccardo Costantini: «È arrivato il momento di ripensare Tina Modotti nella totalità della sua produzione e riscoprirla fuori dalla biografia, partendo dalla sua fotografia, come artista autonoma e donna, libera, umana, armata di profondi valori sociali, attenta alla condizione degli ultimi, alle battaglie di riforma ed educazione, capace di istanze al femminile di rara forza e precoci per i tempi: tutti temi di assoluta attualità che attraversano da sempre i suoi scatti, ribaditi oggi nello scoprire e studiare quelli meno noti».
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