“L’attuale Consiglio superiore della magistratura continua a contraddistinguersi per la scarsa attenzione nei confronti di tutto ciò che mette in discussione il prestigio delle toghe agli occhi dei cittadini. Nulla di nuovo. Ancora una volta, seguendo una tradizione ben consolidata in questi anni, il Csm ha preferito infatti nascondere il problema sotto il tappeto invece di trovare una soluzione”, dichiara al Riformista Pierantonio Zanettin, ex componente laico del Csm e attuale capogruppo di Forza Italia in Commissione giustizia alla Camera. Per comprendere il motivo dell’amarezza di Zanettin è necessario tornare indietro di oltre cinque anni, alla primavera del 2017 per l’esattezza.

All’epoca, dopo l’ennesima esternazione di un magistrato sui social, Zanettin aveva chiesto al comitato di presidenza del Csm l’apertura di una pratica per “individuare delle linee guida volte a garantire che la comunicazione sui social da parte dei magistrati avvenga nel rispetto dei principi deontologici e con forme e modalità tali da non arrecare pregiudizio alla credibilità della funzione”. In quel periodo, prima dello scoppio del Palamaragate che ha annichilito le toghe, i magistrati erano infatti scatenati sui social. C’erano stati ‘sfoghi’ clamorosi che uno non si sarebbe mai aspettato da un magistrato. Il gip del tribunale di Trieste Giorgio Nicoli, ad esempio, aveva definito l’allora governatrice del Friuli Debora Serracchiani (Pd) “inconsistente e supponente” e “un errore della storia”.

Il pm di Trani Marco Ruggiero, dopo essersi presentato in aula con la cravatta tricolore, aveva esternato la propria amarezza per essere stato lasciato solo dallo Stato nel processo sulle agenzie di rating, finito con l’assoluzione di tutti gli imputati. Il post era stato anche ripreso dal blog delle stelle ed era diventato virale. “È incredibile quanto si possa sentire soli a fare il proprio dovere”, si leggeva nell’incipit prima che alcuni esponenti del Movimento, ad iniziare da Luigi Di Maio, decidessero di seguire Mario Draghi, il banchiere per eccellenza. Il presidente del Tribunale di Bologna Francesco Caruso, poi, addirittura aveva paragonato chi votò Si al referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi a coloro che aderirono alla Repubblica di Salò.

Senza considerare casi ‘trash’ come quello della pm di Imperia Barbara Bresci, titolare dell’inchiesta sull’esplosione di una villetta di Sanremo nella quale alloggiava Gabriel Garko, incidente che costò la vita alla proprietaria dell’immobile. La magistrata si era lasciata andare ad apprezzamenti adolescenziali. “Era bello? L’hai guardato anche per me?”, le chiedeva un’amica. E Bresci: “Eccome…”. Un’altra: “ti sei rifatta gli occhi?” E di nuovo la risposta positiva “Sì”, prendendone poi le difese con un appassionato intervento quando sui media si diffuse l’immancabile gossip sull’omosessualità dell’attore. Per Zanettin, in considerazione di questa ‘incontinenza’ social, da parte del Csm era indispensabile “un “solenne intervento” per richiamare i magistrati italiani a canoni di maggiore prudenza, sobrietà e riservatezza nell’uso dei sociale network e piattaforme digitali in genere, nel rispetto della libertà di pensiero ”.

Nel Plenum di questa settimana, l’ultimo prima della pausa estiva, il Csm, invece del “solenne intervento”, ha deciso di archiviare direttamente la pratica. Dopo cinque anni e perché l’argomento non sarebbe di sua “competenza”. Eppure anche l’ex numero uno dell’Associazione nazionale magistrati, Eugenio Albamonte, si era speso al riguardo, affermando che “è opportuno per i magistrati del traning sull’uso dei social network”. “Mi sarei aspettato di tutto da parte di questo Csm ma non una simile pietra tombale”, ha aggiunto uno sconsolato Zanettin.