Nel Sì & No del giorno del Riformista spazio al dibattito sulla mostra dedicata a Tolkien. È una strumentalizzazione? Ne discutono con le loro tesi Mario Lavìa e Runa Bignami.

Di seguito il commento di Runa Bignami

“In un buco nella terra viveva un hobbit” con queste semplici righe vergate soprappensiero ai margini di un compito estivo da correggere, John Ronald Reul Tolkien apriva la porta su un mondo che si sarebbe rivelato sconfinato.
La Terra di Mezzo e l’universo che la contiene, Arda, è portata alla luce insieme alla vita dell’uomo che l’ha creta nella mostra “Tolkien. Uomo, Professore, Autore” voluta dal ministro Sangiuliano alla GNAM di Roma.

Un percorso che mette insieme scritto originali, bozzetti, dischi, costumi di scena e anche un frammento video di una preziosa intervista che Tolkien rilasciò. Una mostra che è stata criticata con forza in questi giorni perché accusata di strumentalizzare, mettere il cappello per così dire, sulla figura del Professore. La polemica è quantomai pretestuosa perché fu una certa intellighenzia italiana ad aver mostrato ostracismo iniziale quando si trattò di portare le opere del professore nel nostro paese. Ce lo ricorda la lettera, presente in mostra, con cui Vittorini sconsigliava a Mondadori la pubblicazione de “Il Signore degli Anelli”. Fu poi la casa editrice Rusconi, la stessa contro cui la sinistra dell’epoca invocava il cordone sanitario, a pubblicarlo per la prima volta. In altre parti del mondo questa ideologizzazione non c’è però stata o, quanto meno, non così forte.

E poi, non sarebbe ora di sapere accettare che un grande artista, un grande intellettuale, possa aver avuto delle posizioni tradizionali e conservatrici? Tolkien stesso diceva di ritrovarsi negli hobbit. Creature della Terra di Mezzo restie al cambiamento che non desiderano che il Mondo moderno con i suoi problemi e le sue diatribe irrompa nel loro quotidiano, amanti del buon cibo, del buon tabacco da pipa e del buon vino. Tolkien dunque desiderava tenere in vita, e continua ora a farlo con la sua opera, un mondo che vedeva scivolare via, travolto dalla modernità. Nelle pagine delle sue opere quella che si respira è l’epica dell’assoluto, non il fantasy escapista. Qualcosa tessuto con la stessa stoffa dei grandi racconti epici: l’Iliade, l’Odissea, Il Beowulf che Tolkien stesso si curò di ritradurre. Nessuno si periterebbe di definire una mostra su Omero “di destra” solo perché l’aedo greco celebra il valore militare ed elogia l’epos della guerra.

Tolkien attingeva a un immaginario sacro, aveva ben in mente l’iconografia e la lettura cristiana e cattolica, tanto quanto gli antichi retaggi nordici. Non ricerca con le sue pagine una critica facile alla contemporaneità. Nell’intervista sopracitata sottolinea, ad esempio, che l’Anello non è un’allegoria della bomba atomica. Non si può pertanto ridurre, come alcuni tentano di fare negli ultimi anni, l’opera di Tolkien a un banale ecologismo o a una critica alle dittature a difesa di un sistema democratico/liberale. Ciò farebbe comunque sorridere, considerando che il professore riesuma pure la figura del re taumaturgo; una monarchia quindi imbevuta di sacro, che ha potere su questo mondo e sull’altro.

No, Tolkien è un sostenitore della Tradizione, cerca di tenere in piedi un mondo che ancora crede negli assoluti, sottraendosi alla società fluida che alcuni oggi vorrebbero a tutti i costi imporre. Se questo lo rende vicino a certe idee politiche piuttosto che ad altre, non è certo colpa di chi queste affinità le coglie e di chi trova in questa corrispondenza conforto e ispirazione. È tempo di andare oltre le dicotomie e riconoscere il valore artistico dell’autore e dell’opera. Non sradicarla dal terreno da cui attinge, ma accoglierla per quello che è. Tempo di accettare l’importanza di autori di destra senza che l’elogiarli e il celebrarli sia visto come una “strumentalizzazione”. Il loro valore è parte del patrimonio culturale universale e riconoscerlo non può far altro che accrescerci tutti.

Runa Briganti

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