Il Kgb è per sempre. Sospeso sull’orlo della crisi con Kiev, infastidito dai fuochi d’artificio diplomatici della Casa Bianca e dalle proteste europee sull’ammassarsi di soldati russi al confine ucraino, il presidente Vladimir Putin cresciuto a microspie e cortina di ferro cosa fa? Allestisce un gran teatro di manovre in stile Guerra fredda, old fashion. Da vecchia spia sovietica, posiziona le sue pedine sullo scacchiere internazionale apparecchiato da lui come se il mondo fosse tornato per incanto agli anni ‘80.

Come se il Muro di Berlino non fosse mai caduto e il Cremlino fosse ancora il centro di un impero vastissimo non ancora imploso. E mentre il cancelliere tedesco Olaf Scholz vola a Washington a portare in regalo a Biden qualche centinaio di soldati tedeschi in più in Lituania «per contrastare l’aggressione russa», Putin fa sapere al mondo quanto fitte e amorose siano le sue conversazioni telefoniche con l’Avana, il caro vecchio avamposto sovietico a galla sul Mar dei caraibi. Puro avanspettacolo, certo, fanfaronate, ma con grande movimento di denaro, di incrociatori e di comparse. Il Cremlino dà notizia che durante l’ultima telefonata con il presidente cubano Miguel Diaz-Canel, il maggiordomo politico della famiglia Castro piazzato al governo dall’élite delle forze armate (cioè da Raúl Castro), son stati presi accordi per approfondire «la cooperazione strategica» e «rafforzare le relazioni bilaterali per aumentare la cooperazione nel commercio, nell’economia e negli investimenti strategici».

Relazione bilaterale fatta da una Avana che soltanto riceve e una Mosca che soltanto dà, come quarant’anni fa, quando Cuba era mantenuta interamente dall’Urss a botte di otto miliardi di dollari all’anno. Non passano nemmeno ventiquattro ore dalla telefonata e l’ambasciatore russo a Cuba, Andrei Guskov, si precipita in piena notte all’aeroporto “José Martì” dell’Avana per l’atterraggio di un aereo con 20 tonnellate di materiale sanitario. È il quinto carico di questo tipo in arrivo sull’isola dallo scorso 31 dicembre, 83 tonnellate in nemmeno un mese. Guskov rispolvera i toni dei comunicati in bianco e nero, di quando Mosca aveva sul terreno cubano più di 40mila soldati, a parte agenti dei servizi infilati ovunque, e dice pomposo: «La Russia continuerà a stare accanto a Cuba in questi tempi difficili, speriamo che il materiale sollecitato da parte cubana sia di grande aiuto agli specialisti locali che lottano contro la pandemia da Covid-19 e che lavorano in complicate condizioni a causa dell’embargo economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati uniti». Embargo cominciato sessant’anni fa tondi tondi.

Segue l’annuncio che una nave russa è appena salpata verso il Mar dei Caraibi carica di 20mila tonnellate di grano.
I russi se ne sono andati da Cuba da trent’anni. Del periodo di loro massima presenza sull’isola, durante la crisi dei missili del 1962 – in meno di tre mesi Mosca installò a 90 miglia di Miami armi nucleari a medio raggio, carri armati, Mig 21, bombardieri, elicotteri e un arsenale militare da terza guerra mondiale – rimane soltanto, lungo la strada che porta dall’Avana al sobborgo di San Antonio de los baños, un lugubre Monumento al soldato internazionalista (una schiera surreale di tumuli con nomi scritti in cirillico) oltre a numerosi discendenti con dna russo-cubano che tuttora, poverini, quando sbagliano un passo di salsa hanno tutti addosso a commentare: «Sarà per colpa dello spermatozoo sovietico».

A guerra fredda smantellata da un pezzo, ecco rispuntare magicamente nelle ultime settimane i comunicatini della sera con cui l’attuale viceministro russo agli Esteri, Sergey Riabkov, non scarta l’ipotesi di un dispiegamento militare russo a Cuba e in Venezuela come risposta alle mosse statunitensi sull’Ucraina che Mosca dice di considerare una minaccia alla sua sicurezza. Il tono è pari pari quello di mezzo secolo fa, come se qualcuno al Cremlino si fosse messo a spedire in giro roba d’archivio. Con il crollo dell’impero sovietico nel ‘91 Mosca chiuse il rubinetto dei miliardi. Fidel Castro, inventatosi un drammatico periodo e special fatto di black out e penurie varie che di speciale aveva soltanto le fantasiose trovate dei poveri cristi per campare, si ritrovò senza soldi ma anche senza base russa di spionaggio sull’isola – quella base dismessa in località Lourdes diventata sede universitaria è oggi ricovero per malati di Covid – e con una centrale atomica in costruzione a Cienfuegos rimasta sulla carta.

Le fortune di Hugo Chávez in Venezuela con il prezzo di petrolio schizzato miracolosamente in alto hanno consentito all’Avana nei primi anni del 2000 di cambiare benefattore e riprendere a vivere da mantenuta ancora un po’, finché Caracas stessa non è sprofondata in una drammatica crisi. A quel punto le relazioni di Cuba con la grande madre Russia si sono infittite. Otto anni fa oltre 40 miliardi di dollari del debito cubano con Mosca sono stati cancellato. Gli annunci di accordi per investimenti russi sull’isola sono stati tanti, i fatti concreti pochi. Da anni si sente parlare di un fantasmagorico recupero della rete ferroviaria cubana che ingegneri russi, mai pervenuti, sarebbero sempre sul punto di cominciare. I malandatissimi binari dell’isola stanno lì in uno stato semifossile, ingoiati dall’esuberante fogliame del Caribe.

Sorpresa: due miliardi di dollari sono pronti. Forse il gran teatro della crisi ucraina, gli annunci di incrociatori che salpano e di aerei da guerra pronti al decollo, riusciranno alla fine a far sbucare una vecchia locomotiva dalla selva di conchiglie e di scudi scolpiti su pietra della Stazione centrale dell’Avana, costruita là dove sorgevano i migliori cantieri navali dell’antica Corona spagnola in America, per vederla poi sferragliare via nel verde.