Guerra fredda è l’espressione con cui si indica lo scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica iniziato nel secondo dopoguerra. Oggi l’Urss non esiste più mentre il bipolarismo est-ovest, ossia il sistema fondato intorno ai due blocchi contrapposti, si è concluso già nel 1991, dopo le riforme di Michail S. Gorbačëv e il collasso del Paese. La Russia è una repubblica assai diversa (e meno estesa) rispetto al suo genitore politico. Tuttavia, il confronto serrato di questi giorni tra Biden e Putin richiama alla memoria la lotta per il controllo del mondo che conobbe diverse fasi, comprese le guerre “calde”, come quelle in Corea e in Vietnam.

Il primo a parlare di “guerra fredda” fu il giornalista americano Walter Lippmann che, nel 1947, così definì la divisione in blocchi dopo la Seconda guerra mondiale, con la conseguente spaccatura dell’Europa in due fronti contrapposti. Ma la “guerra” tra le due superpotenze restava “fredda” a causa del pericolo per la sopravvivenza dell’umanità rappresentato da un eventuale ricorso alle armi nucleari. Non mancarono però gravi crisi. Quella di Berlino del 1959-61, culminata con l’erezione di un muro tra la parte occidentale e quella orientale della città: proprio quel muro divenne il simbolo famigerato della guerra fredda. Poco dopo esplose la crisi di Cuba. Dal 1959 Fidel Castro ospitò rampe missilistiche sovietiche fino allo smantellamento del 1962: anno fatidico, in cui il mondo che sognava con John F. Kennedy si sentì davvero sull’orlo di un conflitto nucleare.

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