L'inchiesta
Torture in carcere, a Firenze tra agenti arrestati
Tre agenti penitenziari del carcere di Sollicciano a Firenze sono stati sottoposti ieri agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla Procura di Firenze che ipotizza i reati di tortura e falso ideologico in atto pubblico. Altri sei agenti sono stati sottoposti a obbligo di dimora nel Comune di residenza. Il Dap, come da prassi, li avrebbe già sospesi tutti. Le misure cautelari sono state disposte dal gip su richiesta del pm Christine Von Borries. Le indagini sono state condotte dal nucleo investigativo della polizia penitenziaria e riguarderebbero due presunti episodi di pestaggio nello stesso carcere nel 2018 e nel 2020. Da quanto si è appreso, tra gli agenti arrestati la più alta in grado sarebbe un’ispettrice finita ai domiciliari: il suo ufficio sarebbe stato usato come luogo delle torture inflitte per punire detenuti con pestaggi e umiliazioni.
Secondo quanto ricostruito, il 27 aprile 2019 un detenuto di origine marocchina, colpevole di aver risposto male a un agente, sarebbe stato condotto nell’ufficio e picchiato con violenza da almeno sette agenti. Prima sarebbe stato colpito con pugni, schiaffi e calci fino a impedirgli di respirare, poi in due gli sarebbero saliti sulla schiena e lo avrebbero ammanettato, per poi portarlo in una stanza di isolamento. Qui l’uomo sarebbe stato costretto a togliersi i vestiti e a rimanere nudo davanti agli agenti per circa tre minuti, prima di essere portato in infermeria. «Ti massacriamo», gli avrebbe persino detto il capoposto prima che partisse il pestaggio. «Ecco la fine di chi vuole fare il duro», lo avrebbe ammonito un altro agente mentre era nudo e ferito nella stanza di isolamento. A seguito dell’episodio il detenuto ha riportato 20 giorni di prognosi per la frattura di due costole. Sempre secondo le ricostruzioni del pm, per coprire il pestaggio avvenuto davanti a lei nel suo ufficio, l’ispettrice avrebbe redatto una relazione in cui dichiarava che i colleghi erano stati costretti a intervenire perché il marocchino aveva cercato di aggredirla sessualmente. Inoltre, sempre dagli atti, nel dicembre del 2018 un altro detenuto, italiano, sarebbe stato immobilizzato da otto agenti nell’ufficio del capoposto e picchiato fino a perforargli un timpano.
Sulla vicenda abbiamo raccolto alcuni pareri. Per il sociologo Luigi Manconi: «nel corso degli ultimi 20 mesi sono state condotte 10 indagini da parte della magistratura su altrettanti episodi di violenza avvenuti all’interno degli istituti di pena; in più della metà viene rivolta l’imputazione del reato di tortura agli agenti della penitenziaria. Il ripetersi di questi episodi dimostra che, pur non volendo parlare in alcun modo di tendenza o tantomeno di un processo di degenerazione dell’intero corpo di polizia penitenziaria, all’interno delle carceri gli strumenti di controllo e mediazione non stanno funzionando. E che dunque c’è un problema di rapporti tra la polizia e i detenuti e del ruolo che dovrebbero svolgere i direttori ed in particolare i comandanti e i sanitari. Concludo dicendo che da un comunicato della Uilpa si legge, dopo aver dato notizia dei fatti: “Tutto questo vanifica il diuturno sacrificio e infanga la straordinaria professionalità di 38.000 donne e uomini del Corpo di polizia penitenziaria”. Ma perché mai? Semmai consente di individuare coloro che disonorano la divisa che indossano».
Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, continua «ad essere convinta che l’uso della violenza riguardi un’estrema minoranza di agenti penitenziari. Male fanno coloro che li coprono insabbiando i misfatti, anziché isolare e denunciare gli autori. D’altra parte, sono anche convinta che, fino a che le carceri saranno un luogo oscuro, di illegalità nella loro amministrazione, di degrado e di disumanità, gli episodi di violenza non siano comprimibili».
Per l’avvocato Riccardo Polidoro, co-Responsabile Responsabile dell’ Osservatorio Carcere dell’Unione camere penali italiane, «sono diversi i procedimenti per maltrattamenti nelle carceri. E come Osservatorio li stiamo monitorando. Le recenti notizie di Sollicciano e San Gimignano devono far riflettere. La verità verrà accertata nel processo, intanto però sarebbe opportuno istituire un Codice rosso anche per questa tipologia di delitti. La Procura della Repubblica di Napoli ha un pool di Sostituti che si occupa dei reati in carcere. È un primo passo, poi occorre il Codice Rosso. Ricordiamo che c’è un rapporto di convivenza forzata tra indagati, colleghi degli indagati e persone offese. Questo non aiuta ad accertare la verità. Inoltre occorrerebbe un carcere più trasparente nell’interesse di tutti».
Per il Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, «questo non è il primo caso in cui pm contesta il reato di tortura: finalmente abbiamo un reato che usa la parola giusta nel codice penale. Auspichiamo che il Governo si costituisca parte civile in tutti i procedimenti penali per tortura, quando a commetterla potrebbe essere un pubblico ufficiale che con la sua condotta criminale infanga lo Stato. E infine ci auguriamo che tutti i sindacati di polizia penitenziaria prendano le distanze da questi fatti».
Di parere opposto il Questore della Camera e presidente della direzione nazionale di Fratelli d’Italia Edmondo Cirielli: «ribadiamo la necessità di riscrivere il reato di tortura, che è stato introdotto dalla sinistra per delegittimare il lavoro delle forze dell’ordine».
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