Se si facesse avanti un regista italiano coraggioso e intellettualmente onesto, immune al timore di non essere più invitato alle cene dell’intellighenzia romana, “L’irregolare” potrebbe diventare un gioiellino cinematografico. Ben incastonato politicamente, con le musiche giuste in grado di trasmettere un senso di sottile amarezza, potrebbe rendere quel che noi abbiamo percepito come il clima che Paolo Franchi ha voluto restituirci con la sua biografia del politico socialista che Enzo Biagi definì “avanzo di balera”.

La damnatio memoriae

Perché Gianni De Michelis ebbe il torto, oltre al peccato mortale di essere socialista e craxiano, di aver frequentato le discoteche e di aver scritto da ministro un libro sulle stesse. A noi il volume di Paolo Franchi (scritto per Marsilio) questo sembra: una garbata ma ferma e rigorosa alternativa alla narrazione (Franchi la definisce damnatio memoriae) che per oltre vent’anni ha colpito quella generazione. Franchi risponde col rigore dei fatti. Con uno stile sobrio e asciutto. Non alimenta mai il fiato della polemica. Si attiene al racconto di vita e del percorso di passione politica di De Michelis. Eppure noi non riusciamo a non lasciarci guidare da quel filo che a ogni pagina idealmente esibisce la scritta “chiamalo discotecaro”.

Gli aneddoti

Non è certo un caso se l’introduzione termina con la testimonianza di un ex premier britannico: Dirà molti anni dopo Boris Johnson, all’epoca capo della diplomazia britannica: «De Michelis amava molto andare a ballare in discoteca, ha anche scritto un libro su questo. Di certo, sul Mediterraneo aveva ragione. Aveva fatto una proposta che ricordo bene: tutti i paesi dovrebbero pagare una parte del loro pil al Nord Africa per affrontare lo sviluppo di quei luoghi. Ebbene, questa idea più di vent’anni fa sembrava pazzesca. Come staremmo oggi se avessimo seguito quel consiglio? Secondo me molto meglio».

Come ama dire Franchi – che il Riformista l’ha diretto e che per una vita è stato giornalista politico al Corriere della Sera – la vita e le storie sono più complesse di quel che vogliamo credere. E quella di De Michelis è una passione politica che parte da lontano, che si alimenta dalla fine degli anni Cinquanta in Veneto. Una generazione che nasce politicamente dopo i fatti di Genova, il governo Tambroni. Un fil rouge che sfiora Toni Negri (con cui De Michelis si confronterà su «Progresso Veneto» rivista della sinistra socialista padovana); che accarezza Claudio Petruccioli (suo amico, comunista) cui De Michelis all’indomani delle elezioni del 1963 disse: «Chiaro, voi siete andati bene, noi maluccio. E allora? Noi stiamo per andare al governo, voi non ci andrete mai. Io a quarant’anni farò il ministro, tu non lo farai mai. La differenza è tutta qui». E in effetti è andata proprio così.

Non si può non citare la definizione che di suo padre dà il figlio Alvise: «Intellettualmente e politicamente, un presbite: innovativo, visionario, vedeva il futuro, ma spesso non capiva le persone in carne e ossa che aveva davanti a sé. Umanamente, un uomo affettuoso, capace di perdonare, privo di qualsiasi istinto proprietario e padronale. Viveva nel presente e, dopo la caduta, soffriva in silenzio. Non teneva in considerazione il denaro, se non per la politica. È morto povero». È morto povero. Franchi ricorda il casino che scoppiò quando il giornalista di Famiglia Cristiana David Sassoli raccontò sul settimanale l’incontro parigino tra il ministro parigino e Oreste Scalzone esponente storico di Potere Operaio e di Autonomia che aveva trovato rifugio in Francia grazie alla «dottrina Mitterrand». Pertinì si infuriò e ne chiese le dimissioni in una lettera privata al presidente del Consiglio Bettino Craxi (che negò l’esistenza della lettera).

Il libro è denso di simili aneddoti. L’ultimo che scegliamo è questo: “Riesce a non perdere la calma, almeno esteriormente, neanche quando, una sera del 1993, qualche decina di giovanotti lo aspetta in piazza San Marco, sotto l’ala delle Procuratie, dove è stato interrogato per la prima volta dall’allora sostituto procuratore Carlo Nordio, e cerca di spintonarlo (c’è chi dice per buttarlo in acqua) al grido di «Ciapalo, ciapalo! Onto! Onto!”.