Delle pene senza delitti è il titolo di un report realizzato dalla rete “Mai più lager – No CPR” che fa da base a due esposti denuncia preparati tecnicamente dall’avvocato Eugenio Losco e firmati dai senatori Gregorio De Falco e Simona Nocerino per chiedere il sequestro preventivo del Centro per il Rimpatrio di via Corelli a Milano.

I due parlamentari avevano visitato il centro insieme a personale della “Rete” nel giugno scorso raccogliendo testimonianze di episodi di autolesionismo, pestaggi, disagio psico-fisico, impossibilità di una sia pur minima assistenza sanitaria. “I pestaggi da parte di agenti di forze dell’ordine risalgono al 25 maggio scorso”. Negli esposti si ipotizza il reato di “lesioni e tortura aggravata in corso” oltre al rifiuto di atti d’ufficio. I due parlamentari scrivono anche della mancanza di registri e procedure, in un centro dove impera l’arbitrio causato anche da una legislazione lacunosa «che ha prodotto un non luogo dei diritti umani dove non esistono neanche le minime garanzie per il diritto alla salute, alla difesa e alla comunicazione».

La struttura non servirebbe neanche allo scopo per cui sarebbe nata, la permanenza degli immigrati limitata nel tempo e il rimpatrio di persone che non hanno titolo per restare in Italia. Il tutto, viene segnalato, «con ingenti e inutili spese a carico dell’orario dello Stato».

Senza girarci tanto intorno emerge che nei CPR, nati come Cie, si sta molto peggio che in carcere, considerando che le persone vengono private della libertà senza che siano accusate di aver violato la legge.

Inoltre durante la visita «non è stato possibile interloquire e interfacciarsi con un rappresentante legale dell’ente e nemmeno con gli amministratori». In una lettera a firma “gli ospiti del CPR” il centro viene definito «non idoneo a ospitare degli esseri umani». Il protrarsi della permanenza dei trattenuti aveva «provocato ripercussioni pesanti sull’organizzazione psicologico-psichiatrica degli ospiti la maggior parte dei quali ha maturato un peggioramento importante delle proprie condizioni».

Manca anche un protocollo di intesa tra Ats e Prefettura con conseguente impossibilità di accedere a visite specialistiche. I presidi sanitari di pronto soccorso sul territorio sono restii a dimettere i trattenuti con diagnosi di incompatibilità delle loro condizioni con il trattenimento ulteriore. Tanto per capire fino in fondo: «Questo fa si che risulti al nostro direttore sanitario molto difficile decidere di revocare l’idoneità alla vita in comunità ristretta e quindi procedere alla dimissione». Con tanti saluti al giuramento di Ippocrate. Insomma è un sistema intero che impedisce di trovare una soluzione.

Nel momento in cui il rimpatrio risulta impossibile per ragioni burocratiche «risulta un trattenimento senza scopo in violazione delle basilari norme costituzionali in materia di diritto alla salute oltre a provocare ripercussioni in termini di salute mentale».

Il giorno 5 giugno nell’ambulatorio non è stato possibile trovare un medico fino a sera. Nel pomeriggio avevano raggiunto la sede due medici padre e figlio per mettersi a disposizione della delegazione in visita sebbene non fossero in servizio.

Un funzionario della Prefettura nella giornata del 6 giugno dichiarava di non voler concedere la propria autorizzazione a essere menzionato in alcun documento nel quale fosse sfociato l’accesso della delegazione con i due parlamentari.