Da 5mila a 15mila euro di danni. È stato triplicato questa settimana il risarcimento che Marco Travaglio dovrà versare al sindaco Beppe Sala. I fatti risalgono al giugno del 2018. Esploso lo scandalo dello stadio della Roma, il direttore del Fatto, dagli studi della trasmissione Otto e mezzo su La7, di cui è uno degli ospiti fissi al punto che potrebbe fare tranquillamente il co-conduttore, si era lanciato in una accorata difesa dei grillini che all’epoca amministravano (male) la Capitale.

Nel mirino era finito il costruttore Luca Parnasi, arrestato con l’accusa di aver dato mazzette a politici e dirigenti di punta del M5s per costruire il nuovo impianto sportivo. «Anche se nessun giornale lo ha scritto, il nome di Sala è nelle carte», si era allora infervorato Travaglio, sparando anche la cifra che sarebbe stata sganciata dal costruttore: 50mila euro.

La ‘doppia conforme’ nei confronti di Sala è solo una delle ultime condanne per diffamazione riportate da Travaglio la cui storia giudiziaria parte da molto lontano. Una premessa è d’obbligo: l’elenco delle condanne riportate da Travaglio è molto lungo e ci sarebbe bisogno di almeno un paio di pagine per elencarle tutte. Queste, comunque, quelle maggiormente degne di nota. Nel 2000, quando c’era ancora la lira, ecco arrivare la prima condanna in sede civile a risarcire l’ex ministro della Difesa Cesare Previti a causa di un articolo in cui lo aveva definito «futuro cliente di procure e tribunali». Con Previti ci fu anche un procedimento penale e nel gennaio 2010 la Corte d’Appello di Roma condannò Travaglio a 1000 euro di multa per il reato di diffamazione aggravato dall’uso del mezzo della stampa. A febbraio 2011 tale condanna, confermata in appello, diventerà definitiva in ragione dell’inammissibilità del ricorso in Cassazione. Sostenendo che fosse stata lesa la sua libertà di parola, Travaglio presentò ricorso alla Cedu, che, nel 2017, confermò però il carattere diffamatorio dell’articolo.

Nel 2004 nuova condanna sempre in sede civile per aver scritto nel libro La Repubblica delle banane, quando invece non era vero, che il deputato di Forza Italia Giuseppe Fallica era stato imputato per false fatture. Nel 2005 altra condanna, sempre in sede civile, per aver accostato falsamente il nome di Fedele Confalonieri ad alcune indagini per ricettazione e riciclaggio. Sempre nel 2008, a giugno, ecco la condanna per aver diffamato la giornalista del TG1 Susanna Petruni, descritta come personaggio servile verso il potere e parziale nei suoi resoconti politici. L’anno successivo, nel 2009, altra condanna per aver diffamato nel libro Il manuale del perfetto inquisito il giudice Filippo Verde, definito più volte «inquisito e condannato». Nel 2010 a denunciare Travaglio ci penso l’allora presidente del Senato Renato Schifani. Passa l’estate e ad ottobre 2010 arriva la condanna in sede civile per aver dato del «figlioccio di un boss» all’assessore regionale siciliano David Costa.

Qualche anno di relax e nel 2017 ancora una condanna, questa volta nei confronti di Giuliano Amato. E si arriva, quindi, alle condanne ‘top’, quelle che rischiano di far collassare i conti del Fatto per i risarcimenti. A gennaio 2018 è stato condannato dal Tribunale di Roma in merito ad un editoriale contro tre magistrati siciliani, riguardo alla latitanza di Bernardo Provenzano; la provvisionale disposta ammontò a 150mila euro. Ad ottobre 2018, il tribunale civile di Firenze lo ha condannato al pagamento di una somma di 9omila euro a titolo di risarcimento per diffamazione nei confronti di Tiziano Renzi. Era stato citato in giudizio per due editoriali riguardanti un processo penale per bancarotta che aveva visto invece Tiziano Renzi assolto con formula piena. Il 30 giugno 2022 la sentenza è stata confermata in appello.

A novembre 2018, in un procedimento relativo alle parole pronunciate nel corso della solita ospitata ad Otto e mezzo, Travaglio è stato condannato la seconda volta dal Tribunale di Firenze al pagamento di 30mila euro per diffamazione nei confronti di Tiziano Renzi. A febbraio 2022, come detto, condanna a 3000 euro per aver insinuato che il finanziamento del costruttore romano Parnasi per la campagna del sindaco di Milano Sala non fosse trasparente. Condanna triplicata questa settimana in appello. A giugno 2022, ultima condanna in ordine di tempo: 25mila euro di risarcimento alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Paolo Pandolfini

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