Il caso di Vincenzo Lo Presto, il marito di Fortuna Bellisario messo agli arresti domiciliari dopo una sentenza di condanna a dieci anni di reclusione per l’omicidio preterintenzionale della donna, ha riacceso un eterno dibattito e, cavalcando l’emotività dell’opinione pubblica, ha fatto gridare all’ennesimo scandalo. «Nessuno scandalo, nessuna “eccentricità” – ribattono gli avvocati Marco Campora e Angelo Mastrocola, rispettivamente presidente e segretario della Camera penale di Napoli – ma una sentenza assolutamente coerente e in linea con la produzione giurisprudenziale quotidianamente emessa».

Ciononostante si sono alimentate le proteste per la pena ritenuta eccessivamente bassa e per il fatto che l’imputato abbia trascorso in carcere solo due anni. «È un format che si autoalimenta e che sta inesorabilmente avventando la qualità della nostra democrazia», spiegano i rappresentanti dei penalisti napoletani. «Le spinte provenienti dall’esterno sono talmente forti che ormai travolgono, talvolta, anche i protagonisti della giurisdizione, tanto che finanche il presidente del Tribunale si è lasciato andare, in un’intervista pubblica, a valutazioni critiche in ordine ai provvedimenti emessi dal gup. Nonostante il garbo e la cautela delle affermazioni, infatti, dall’intervista emerge chiaramente – allorquando si afferma che “forse la vicenda doveva essere valutata con ancora ulteriore rigore” o “magari, non avrei destinato quell’uomo nella stessa casa dove era avvenuto il massacro della donna” – una presa di distanza dalle valutazioni del gup. Ma non solo: simili dichiarazioni rischiano di condizionare inconsciamente anche i giudici che si occuperanno in futuro della vicenda e, in particolare, i giudici del Riesame che a breve saranno chiamati a rivalutare, a seguito di ricorso della Procura, la situazione cautelare dell’imputato».

La questione è anche culturale. «Nessuno mai si azzarda a criticare una sentenza che commina un ergastolo, mentre costituiscono ormai un topos le grida – di solito: “Vergogna, Vergogna!” – delle vittime, spalleggiate sovente da agitatori politici o dell’informazione, alla lettura dei dispositivi che assolvono l’imputato o che lo condannano a una pena non ritenuta abbastanza severa». «Non c’è bisogno di evidenziare l’abisso che separa un processo sbilanciato in favore dell’accusa (quale quello a cui abbiamo assistito e partecipato negli ultimi trenta anni) da un processo, per così dire, popolare. Il processo sbilanciato – aggiungono gli avvocati Campora e Mastrocola – consente, sia pur tra enormi difficoltà, ancora uno spazio di agibilità per la difesa e per i valori di cui essa è portatrice. E consente, di conseguenza, la possibilità che si giunga a una decisione ponderata, intrisa del senso del limite, mite e in definitiva giusta. Il processo popolare è, invece, un rito sacrificale ammantato di forme che, a quel punto, rischiano di divenire meramente scenografiche e quindi insulse (e quindi in potenza sempre più sacrificabili) e in cui non vi è alcuna possibilità di effettiva difesa».

«Ora chiediamoci quale sarà lo stato d’animo dei giudici del Riesame che dovranno decidere sulla richiesta della Procura di applicare nuovamente all’imputato la custodia cautelare in carcere dopo che il gup ha ritenuto sufficiente gli arresti domiciliari», osservano i penalisti. La deriva degli ultimi anni conduce verso il panpenalismo, «con il ritorno a categorie di un passato lontanissimo», a una pena «non più intesa come modalità di intervenire sul criminale e ristabilire l’ordine pubblico, ma come misura diretta a “pacificare” la vittima (finalità meramente privata). La pena, dunque, come una sorta di riparazione psicologica, di risarcimento morale della vittima. Tutto ciò indebolisce l’istituzione giustizia poiché, di fatto, non ne riconosce più le finalità, sovraccaricandola di significato e di funzioni». E il rischio è che si continui con questo sbilanciamento: «Abbiamo già toccato con mano l’oscuramento di fatto del dibattimento (e dunque degli avvocati e dei cittadini) e l’esaltazione, le luci, i bagliori dedicati alla fase delle indagini preliminari, degli arresti, delle perquisizioni».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).