La condizione postmoderna è sempre più caratterizzata dai vuoti di memoria. Il dibattito in corso sull’Ucraina è una cartina al tornasole della smemoratezza imperante. La quale ha facilitato la polarizzazione fra i cosiddetti “pacifinti”, i (presunti) filo-putiniani che si celerebbero dietro il partito della pace a ogni costo e i “guerrafondai”, coloro che sono d’accordo con l’invio di armi in Ucraina (il segretario del PD, Letta, in certi post al vetriolo su Facebook, appare con l’elemento in testa). Le etichette incasellano affinché si azzeri ogni dibattito: è la logica dei Guelfi e dei Ghibellini.  Diciamolo, allora: fra i pacifinti vi sono pacifisti genuini, in ottima fede; così come ve ne sono a bizzeffe fra i guerrafondai. Riannodiamo i fili della memoria. La sinistra di ispirazione riformista si è sempre battuta per la pace fra i popoli. Ma, intendiamoci, il pacifismo è altra cosa dalla non violenza gandhiana. È sul tema della violenza e delle libertà che la sinistra si spaccò nel 1921, e ha continuato a spaccarsi nel secolo successivo.

Turati, leader della maggioranza riformista, 1917: critica il culto della rivoluzione levatrice della storia, propugnato da massimalisti e neogiacobini; Turati, 1921, Congresso di Livorno: la sua voce viene sommersa dalle urla dei neonati comunisti, succubi del feticcio di Mosca. Urticante ma profetico il suo discorso: “la violenza è il contrapposto della forza, la violenza è anche la paura, la poca fede nell’idea, la paura delle idee altrui, il rinnegamento della propria idea”. Il culto della violenza ha solo “conseguenze dannose e nessun utile”, conduce fatalmente anche alla persecuzione dei dissenzienti. L’eresia è la linfa vitale del socialismo italiano che rivendica la sua matrice democratica e libertaria. Turati, 1914: i socialisti italiani sono coerentemente pacifisti. La loro formula – né aderire né sabotare – non è cerchiobottismo: nasce dal rispetto per la Patria in guerra, nonché dalla consapevolezza che nelle file socialiste militano anche interventisti di gran caratura: patrioti come Cesare Battisti.

Turati (spalleggiato da Treves), 1918: Caporetto, lo scontro fra potenze capitalistiche si trasforma in una guerra di difesa del territorio nazionale. Il leader socialista infiamma i lavoratori nelle trincee, abbruttiti dopo anni di sacrifici disumani. “Quando la patria è oppressa, quando il fiotto invasore minaccia di chiudersi su di essa, le stesse ire contro gli uomini e gli eventi che la ridussero a tale sembrano passare in seconda linea, per lasciare campeggiare nell’anima soltanto l’atroce dolore per il danno e il lutto, e la ferma volontà di combattere e di resistere fino all’estremo”. In sintesi: la violenza intesa come autodifesa dall’aggressione è assolutamente legittima sul piano etico-politico: è conforme al principio di autodeterminazione dei popoli, caro ai socialisti dai tempi di Garibaldi. Cosa sarebbe successo se i socialisti avessero detto né con l’Austria imperialista che sta per invadere la pianura padana, né con l’Italia monarchica e capitalistica?

Questo è l’unico pacifismo che ha dignità: il rigetto della violenza rivoluzionaria per modificare l’assetto della società; il rifiuto della guerra quale mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (non già il rifiuto dell’autodifesa, altrimenti non avremmo un esercito, né faremmo parte, per libera scelta, della NATO). Noi socialisti desideriamo – intensamente – la pace in Ucraina: tacciano i cannoni e parli la diplomazia! Va sostenuto ogni sforzo per una soluzione negoziata fra le parti, che sia però una soluzione giusta e onorevole. Questo desiderio di trattative convive – senza contraddizione – con il sostegno militare a un popolo in lotta per la sua sopravvivenza e libertà. La posizione del governo Draghi, insomma, è ben lungi dall’essere guerrafondaia.

Massimo rispetto per i pacifisti in buona fede, dunque; nessuna lezione invece dai pacifinti che inneggiano tuttora alla Rivoluzione d’Ottobre, una carneficina che instaurò un regime dittatoriale e perpetrò una sequela di crimini contro l’umanità; nessuna lezione dai pacifinti che elogiano (giustamente) i partigiani antifascisti di casa nostra ma negano (ipocritamente) agli ucraini il diritto all’autodifesa; nessuna lezione dai pacifinti che giustificano la lotta armata dei palestinesi  — troppo spesso configurabile come terrorismo puro – contro Israele, Stato liberal-democratico; nessuna lezione dai pacifisti mossi da un solo istinto pavloviano: la demonizzazione della NATO e degli Stati Uniti, come se tutte le guerre si equivalessero e tutti i regimi (dittatoriali e democratici) fossero negatori dei diritti umani in egual modo e misura. Craxi a Sigonella difese la sovranità nazionale dell’Italia, perché nell’Alleanza atlantica ci stava a schiena diritta, non come un servo; ma se l’era scelta, quella collocazione: e infatti era disposto a far installare gli euromissili in risposta alla prepotenza sovietica. Craxi – il decisionista, il combattente – teneva in mano un ramoscello d’ulivo: si adoperò sempre per la pace, in Medioriente e altrove. I vuoti di memoria fanno comodo, cari pacifinti – gratta gratta, si scopre che molti di voi sono giustizialisti dai tempi di Mani Pulite.