L'esperienza sul campo
Ucraina, la pace in prima persona: le otto missioni sul territorio del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta
Dall’inizio del conflitto, il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta ha organizzato otto missioni sul territorio. Momenti in cui la società civile ucraina che si è interfacciata con il Movimento ha avuto un atteggiamento costante di collaborazione nelle forme della resistenza nonviolenta
Dal sei al nove giugno scorso il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta è tornato in Ucraina ed ancora
una volta ha ricevuto grande attenzione sia dalle istituzioni che dalla società civile. Era l’ottava missione dall’inizio del
conflitto.
L’11 luglio 2022 il sindaco di Kiev, il famoso pugile Klycko, ci accolse nella prestigiosa Sala delle Colonne del municipio, ringraziandoci per il coraggio di essere andati nella sua città portando un messaggio di pace, questa volta il nostro piccolo manipolo di attivisti nonviolenti è stato addirittura ricevuto alla Verkhovna Rada – il parlamento ucraino – per discutere un ordine del giorno fatto di soli due punti. L’organizzazione di una conferenza sui Corpi Civili di Pace Europei, da tenersi a Kiev, nel prossimo settembre, con parlamentari provenienti da tutta Europa. E l’organizzazione di una grande catena umana tra persone comuni ucraine e pacifisti europei, per affermare la supremazia dei valori della fraternità e della pace sulla guerra, comunque questa andrà a finire.
Anche questa volta le nostre proposte hanno riscontrato grande consenso, nonostante si trattasse di una mera manifestazione della cultura pacifista di matrice europea. Yuri, il direttore dell’“Associazione dei consigli regionali e distrettuali ucraini”, ci avvisa che se nel gennaio 1990 gli ucraini formarono una fila umana lunga 700 chilometri da Kiev ad Ivano-Frankisvsk, ora sarebbero pronti a formare anche due file, pur di affermare l’indipendenza dalla Russia in modo nonviolento!
In queste otto missioni la società civile ucraina che si è interfacciata con noi ha avuto un atteggiamento costante di collaborazione nelle forme della resistenza nonviolenta: si è prodigata per costruire un Peace Village a Brovary, venti chilometri da Kiev, a marzo 2023; ha organizzato un forum delle municipalità a Leopoli, per i gemellaggi tra comuni ucraini e comuni italiani; ha coordinato, anche grazie alla grande intermediazione del nunzio apostolico, Visvaldas Kubolkas, i campi estivi in Italia per i figli dei caduti.
Eppure se confrontiamo l’atteggiamento coerente di questo popolo con lo storytelling molto in voga sui dibattiti social, che
tende a dipingerlo come un’orda di nazionalisti in cerca di una vittoria impossibile contro la potente Russia, restiamo stupiti
dalla distanza abissale che vi è tra l’immaginario ed il reale. Nell’era delle relazioni virtuali, la diplomazia dei popoli segna un grave ritardo in Europa. Mentre ci si divide sull’invio o meno delle armi alla resistenza ucraina, bisognerebbe avvertire forte l’esigenza di venir fuori dalle bolle social e rileggere il Camus di Combat: questa guerra ci riguarda.
Mentre l’Unione Europea intende saggiamente evitare con tutta sé stessa l’escalation nucleare, pur difendendo le ovvie ragioni degli ucraini, la società civile europea dovrebbe sentirsi tutta arruolata nella difesa pace, non certo dalla comodità delle nostre tastiere, ma con la presenza in Ucraina, dove l’aggressione avviene.
Chi della società civile europea contesta a ragione la “guerra per procura”, non dovrebbe crogiolarsi nell’idea che sia possibile un’antitetica “pace per procura”. La pace migliore, la “pace di soddisfazione”, come la definiva Norberto Bobbio, non potrà avvenire senza la partecipazione e adesione dei popoli coinvolti nel conflitto. Non potrà certamente arrivare da un
referendum promosso da chi è lontano dall’oppressione, o da un negoziato che non abbia coinvolto lo spirito del popolo
resistente. Gli accordi di Minsk erano ben scritti, ma hanno fallito. Ora ci tocca fare di più.
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