L’incontro di Parigi tra il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente polacco Andrzej Duda segna una tappa da non sottovalutare in questa fase della guerra in Ucraina. Il vertice si inserisce in quel formato diplomatico noto come “Triangolo di Weimar”: una piattaforma nata nel 1991 nell’omonima città tedesca per mostrare la sinergia tra Berlino, Parigi e Varsavia quando quest’ultima si stava sganciando dall’orbita di Mosca. Per molto tempo, complice anche la differenza di vedute in seno all’Unione europea e il diverso peso geopolitico dei tre membri, questo “triangolo” ha avuto un’importanza ridotta. Ma l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, tra i suoi vari effetti, ha avuto anche quello di riequilibrare sfere di potere e ruoli all’interno del Vecchio Continente. E mentre Francia e Germania hanno subito i riflessi di una crisi che queste potenze hanno mostrato di non aver evitato con la diplomazia, la Polonia, grazie all’intransigenza verso la Russia, al totale appoggio verso Volodymyr Zelensky e alla sempre più ampia alleanza con gli Stati Uniti, ha accresciuto il proprio peso nell’Alleanza Atlantica e in Europa.

In questo cambiamento di paradigma – i cui confini temporali e politici sono ancora difficili da definire – l’incontro di Parigi di questo lunedì rappresenta una conferma. Duda, Macron e Scholz parlano tra loro, come veri e propri protagonisti della scena politica europea per discutere dell’Ucraina e del loro sostegno economico, politico e militare a Kiev. Ma il vertice tra queste tre forze ha valore soprattutto perché questi tre leader parlano di un elemento che inizia a farsi sempre più strada nella diplomazia: il futuro del Paese invaso. Un dato che non sembra affatto secondario, perché quello che è andato in scena all’Eliseo è anche un primo segnale di discussione su quello che accadrà una volta terminata non solo la controffensiva ucraina, ormai iniziata, ma anche la fase più acuta del conflitto. Su questi temi, le posizioni dei tre leader che si sono visti all’Eliseo questo lunedì appaiono diverse, e testimoniano anche quella differente proiezione geopolitica che possiedono i Paesi che rappresentano.

Macron, padrone di casa di un summit che arriva mentre le truppe di Kiev tentano di sfondare la prima linea russa, ha detto che queste operazioni dureranno “settimane, forse mesi” e ha espresso l’auspicio che questa controffensiva “sia il più possibile vittoriosa per poter successivamente avviare una fase di negoziati in condizioni soddisfacenti”. Scholz, dal canto suo, confermando la nuova politica estera varata dal suo governo, ha ribadito che in questo momento l’obiettivo principale è sostenere l’Ucraina a difendersi dalla Russia e che questo sarà fatto “per tutto il tempo necessario”, sottolineando l’unità di intenti dei partner europei e atlantici a differenza di quanto previsto dal presidente russo Vladimir Putin all’inizio del conflitto.

Il presidente polacco Duda, invece, ha interpretato il ruolo che ha sempre avuto da quando i carri armati russi hanno fatto il loro ingresso in territorio ucraino, ovvero quello della tradizionale fermezza.
Il leader di Varsavia ha però fatto anche un passo in avanti, soffermandosi sul fatto che, a suo dire, sarà fondamentale fornire a Kiev una road-map per entrare a far parte della Nato.

“L’Ucraina sta aspettando un segnale inequivocabile riguardo a una chiara prospettiva di adesione”, ha detto Duda. Ed è chiaro che questa linea sarà confermata anche nel prossimo vertice dell’Alleanza a Vilnius, dove sul tavolo degli incontri vi sarà inevitabilmente il futuro dell’Ucraina e la sua eventuale partecipazione al blocco militare e politico occidentale. L’unità di intenti dimostrata all’Eliseo sul sostegno militare sembra dunque mostrare già le prime difficoltà per quanto riguarda Kiev in uno scenario post-bellico. Perché, se è vero che al momento sembrano tutti concordi che l’Ucraina, in guerra o in una forma di “soluzione coreana”, non può aderire all’Alleanza, diversi sono i punti di vista sulle garanzie di sicurezza da offrire al Paese una volta terminato il conflitto.

Il “Financial Times”, in un recente articolo, ha scritto che una parte dei funzionari occidentali sta valutando l’ipotesi di un futuro sostegno all’Ucraina sul modello degli accordi siglati tra Stati Uniti e Israele. Un pacchetto di aiuti militari costanti che renderebbe Kiev una potenza in grado di avere una capacità bellica tale da reprimere qualsiasi nuovo tentativo russo di attacco, e che renderebbe inoltre le forze armate del Paese sempre più in linea con gli standard Nato in attesa dell’ingresso. A questo proposito, un’altra fonte europea del “Ft” ha suggerito che, in mancanza di una promessa sull’adesione alla Nato, si potrebbero concedere “impegni a lungo termine per tenerli al sicuro in altri modi”. Il problema è che questo tipo di aiuti non dovrà essere solo promesso, ma anche garantito.

E su questo aspetto entrano in gioco almeno due fattori. Il primo è la sostenibilità: e cioè per quanto tempo il sistema europeo e quello americano possono fornire un aiuto militare a favore dell’Ucraina. Le analisi, i dati e le discussioni sull’impatto della guerra sul settore dell’industria bellica di tutti i Paesi Nato hanno confermato come sia difficile rimodulare le capacità di produzione in base alle esigenze già di un solo Stato in guerra. E in Europa, come visto, è già in corso un complesso dibattito sul modo in cui può essere finanziato questo specifico settore.
Il secondo fattore è invece il tema politico, e cioè fino a quando gli Stati membri dell’Ue e Washington saranno davvero convinti di supportare militarmente Kiev. E questo sia in rapporto alle rispettive opinioni pubbliche, spesso incerte, sia qualora si dovessero aprire canali di dialogo con Mosca. Il fatto che alcuni leader parlino di futuri negoziati mentre altri lo escludono conferma che su questo punto potrebbero esservi molte divergenze in seno all’Occidente.

Lorenzo Vita

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