Idea che vede il carcere come una struttura «in cui il detenuto deve impegnare la giornata svolgendo attività lavorative, sociali, sportive e avere una camera di pernottamento, possibilmente individuale, dove dormire». La presenza in commissione di altre rilevanti figure può ulteriormente assicurare sulla qualità dei lavori che si andranno a intraprendere. Certo la sua composizione lascia fuori molte figure rilevanti che avrebbero potuto contribuire in maniera significativa ai lavori. Basti pensare al mondo degli educatori, dei volontari, del personale medico, dei sociologi, degli insegnanti, che lavorano quotidianamente in carcere, e degli stessi avvocati. Va detto, però, che il decreto prevede l’acquisizione di contributi e relazioni di esperti del sistema penitenziario, anche con specifiche audizioni. Non è, dunque, la composizione della commissione che preoccupa. Anzi un numero ridotto di persone, peraltro qualificate, può garantire un lavoro più efficace.
I dubbi nascono dai consueti preamboli di questi decreti, spesso “parole al vento”, per le quali andrebbero presi ben altri provvedimenti, senza necessità di alcuna commissione. Leggere che va potenziata «l’offerta trattamentale in chiave moderna, distante da connotazioni esclusivamente afflittive e contenitive, secondo un approccio multidisciplinare, culturalmente adeguato alla cornice costituzionale e alle indicazioni della Cedu e del Consiglio d’Europa relative alla vivibilità dell’ambiente detentivo e alla qualità del trattamento», lascia sgomenti se si pensa alle scelte politiche fatte finora in tema di detenzione, di fatto contrarie a quanto l’Europa, con innumerevoli condanne e indicazioni, ci ha chiesto. Dopo tali condanne quasi nulla è mutato. Anzi, mentre ci venivano chieste più misure alternative, si è ritenuto di non rispettare tale indicazione, in nome di una “certezza della pena” sbandierata da parte di chi ignora del tutto i principi del nostro sistema penale. E dunque si ricomincia con un’ennesima commissione che dovrà indicare un “format costruttivo” entro il 30 giugno 2021. Dopo tale data i lavori saranno esaminati dal Ministero che dovrà concretizzare gli interventi sugli immobili esistenti e avviare la costruzione di nuovi istituti. Su quelli esistenti il margine d’intervento è ridottissimo, per quelli nuovi i tempi di realizzazione – tra individuazione delle aree, bandi, progetti, aggiudicazioni, stanziamento delle somme necessarie, esecuzione lavori – saranno biblici come nel caso dell’annunciato e mai iniziato carcere di Nola.
Se vogliamo davvero rispettare i principi della Costituzione, le norme dell’ordinamento penitenziario e le innumerevoli raccomandazioni dell’Europa, occorre che la Commissione lavori per migliorare il migliorabile e per la costruzione di nuovi istituti che dovranno sostituire quelli oggi fatiscenti e irrecuperabili. Questo è l’obiettivo da perseguire, in quanto non va aumentata la capacità ricettiva delle carceri (la detenzione deve essere la pena solo in casi gravi) né si può pensare a nuovi edifici con 1.200 detenuti (come previsto per Nola) in quanto l’aspetto trattamentale ne sarebbe inevitabilmente penalizzato. È alle misure alternative che bisogna guardare per diminuire il sovraffollamento ed evitare che i condannati tornino a delinquere. Non a nuovi inutili e ingestibili spazi. A Luca e a tutta la Commissione gli auguri di buon lavoro.