Preoccupazione e prospettive. Dal discorso di ieri sera del Presidente del Consiglio al Paese si esce con la conferma di una condizione e con qualche paletto messo nel cammino che ci aspetta. Non entrerò nel merito dei tanti aspetti previsti dalla nuova Ordinanza che ha come incipit il prossimo 4 maggio, mi pare però il caso di fare qualche considerazione sull’impressione complessiva che le parole del Presidente (mi) hanno lasciato.

Un discorso nel guado, senza che si possa i(ancora) intravedere ancora l’altra sponda. Conte l’ha ripetuto a sufficienza per far capire che fase 2 non significa affatto chiusura della fase 1, nel senso che il virus sta lì, non si è mosso e che dobbiamo iscriverlo stabilmente nel nostro orizzonte quotidiano. Si chiude la fase di un’ordinanza e se ne apre un’altra e il minimo comune denominatore resta lui, il Covid 19, e sarebbe esiziale pensare di averlo esorcizzato solo perché si procede ad un allentamento delle rigidità precedenti. Si allentano le maglie nella consapevolezza che la recrudescenza dei contagi è nell’ordine delle cose, che l’intensificazione sia pur relativa del movimento nel/del Paese comporterà il rischio di focolai e di repliche laddove si poteva pensare di avere debellato. E’ dunque auspicabile che alle parole e agli annunci seguano i fatti, e che cioè la rete di ascolto disseminata nel Paese, con il contributo sostanziale delle Regioni, sia realmente funzionante e capace di segnalare in tempo reale eventuali segnali di rischio. E’ un aspetto determinante: antenne efficienti e velocità nell’intervento, facendo tesoro – si spera – di quello che non ha funzionato nella fase 1, ad esempio il rapporto con il variegato tessuto delle Regioni.

In parallelo, l’altro segnale che Conte ci manda è prudenza e cioè l’appello a una virtù soggettiva, che nel caso rimanda anche a precetti obbligatori, la distanza sociale, il metro che deve separarci, le mascherine (non mi pare che ne abbia ribadito l’obbligo..) con il prezzo calmierato…, ma in generale vuol dire consapevolezza costante nei comportamenti, ovunque si sia, non perciò la soggezione a un obbligo che ci viene imposto, ma la coscienza di un dovere che entra a far parte strutturale della nostra condotta e riguarda il nostro rapporto con gli altri. Una virtù, appunto, che continua a essere un banco di prova di una comunità e, dunque, un limite alle presunzioni individualistiche e volgarmente autoreferenziali.

Al di là del discorso del Presidente, mi pare un aspetto sostanziale che riguarda una dimensione etica che rappresenta il risvolto profondo con cui l’umano risponde alla pandemia e si riparametra con un di più di autocoscienza per continuare a essere tale.

Quanto alle prospettive, Conte si è dilungato a descrivere le tante articolazioni del provvedimento che mira a rimettere in moto, a riaprire attività produttive e a sostenere le categorie che più stanno subendo gli effetti dell’emergenza.

Ha sottolineato la mole imponente del lavoro che è ricaduto sulle amministrazioni, a cominciare dall’overdose di pratiche sull’Inps e, in controluce, si è capito che smagliature e sfasature ci sono state. La macchina ha risentito di condizioni di stress che, dunque, indicano una strada necessaria e non rinviabile: l’adeguamento della p.a., la sua razionalizzazione, il potenziamento dell’interfaccia tecnologica a misura di un servizio coordinato, integrato, efficiente, capace di ascolto e facilmente accessibile.

Non occorre essere un istituto di sociologia per sentire levarsi in questi giorni lamenti diffusi sulle difficoltà per accedere ai bonus, sui tempi che si allungano sinistramente per certe realtà familiari e aziendali, per un’intermediazione bancaria che spesso non ha capito che il contesto è cambiato e che la rigidità delle garanzie può essere, ancor più di prima, un cappio al collo.

Anche qui sarebbe il caso di avere un atteggiamento virtuoso, che non è un accessorio o una facciata, è la sostanza di un rapporto, tanto più quando uno dei due termini si trova in una condizione critica. E peraltro, come insegnava una certa filosofia utilitaristica, non sarebbe male capire che rivedere le modalità di quel rapporto potrebbe essere essenziale per non compromettere la continuità del sistema nel suo complesso. Vale per lo Stato, per il governo, per l’opposizione, per le banche e per tutti noi. Retorica? Non è lusso che possiamo permetterci.

In questo senso mi sembra opportuno riprendere un’affermazione del Presidente che, senza approfondire, ha parlato di riforme radicali troppo a lungo rinviate e di cui il Paese ha bisogno. Inutile girarci intorno, sulle riforme tutti sono d’accordo, quando si entra nel merito scattano verti, chiusure e incompatibilità. E, invece, lo esige il tempo che stiamo vivendo, non possiamo più permetterci il tirare a campare, il trionfo di corporazioni arroccate, la divaricazione tra competenza e responsabilità, l’apparato che prevale sulla funzione e il servizio, la latitanza di una coscienza dell’interesse generale che lo Strato porta con sé, non contrattabile con le logiche consensuali di una certa politica.

Accanto al traghettamento da una fase all’altra, con tutte le incertezze che si porta dietro, questa è una primaria certezza dell’agenda di domani (mattina).