Diciamolo fuori dai Trattati
Una fetta di ReArm Europe vada in infrastrutture perché sono in molti ad essere in ritardo sul piano della Difesa
Occorre formare un gruppo di Stati membri che dia vita ad un Political Compact che stabilisca i termini per usare la forza

Il progetto di integrazione europea è stato concepito fin dall’inizio come un patto per la pace tra stati che si erano fatti la guerra in continuazione, sia con le armi che con il cibo. Politiche agricole protezionistiche erano state adottate, fin dagli anni Venti, da Francia, Germania e Italia. Finanche la Gran Bretagna, aveva avviato nel 1931 una politica di restrizioni e dazi. Durante la guerra si era dimostrato come il ricatto alimentare potesse essere utilizzato come una formidabile arma.
Per questo il progetto di costruzione dell’unità europea affidava la garanzia della pace a istituzioni sovranazionali che dovevano essere pronte a difendere gli stati firmatari da aggressioni militari e commerciali interne ed esterne. Contemporaneamente all’ideazione e approvazione della Comunità europea di difesa (CED), progetto sospeso (“non-votato”) dall’Assemblea nazionale francese, si propose dapprima l’istituzione di una “Alta autorità agricola sovranazionale europea” e poi una “Comunità europea dell’agricoltura” (CEA) con organi simili alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Progetti che non videro la luce per contrasti tra i sei paesi che daranno vita nel 1957 alla Comunità economica europea (CEE).
Ma mentre la rinuncia alla difesa europea fu possibile perché gli europei occidentali si rifugiarono sotto l’ombrello protettivo della NATO, il Trattato di Roma inserì la Politica agricola comune (PAC) al centro dell’attività della CEE. È solo per questo motivo che la sicurezza dei confini e quella degli approvvigionamenti alimentari sono state separate in questi settant’anni. Ma ora che le decisioni di Trump, nella loro brutalità, fanno emergere una Unione europea del tutto indifesa in caso di aggressioni belliche esterne, è possibile tornare a ragionare in modo sinergico sulla sicurezza. La proposta di ReArm Europe va sostenuta perché molti stati membri dell’UE sono in ritardo sul piano degli investimenti per la difesa. Essa, tuttavia, va riformata per fare in modo che una parte degli 800 miliardi di euro previsti dal piano debba essere utilizzata per costruire le infrastrutture e gli apparati di una difesa sovranazionale. Occorre formare un gruppo di stati membri che dia vita volontariamente ad un Political Compact, fuori dai Trattati, che stabilisca i termini per usare e controllare la forza.
Una tale iniziativa va collocata in quella più ampia assunta dal premier britannico Keir Starmer che ha promosso la “coalizione dei volenterosi”, impegnata a garantire la sicurezza di Kiev e a rilanciare la difesa europea dopo un’eventuale tregua concordata con la Russia.
È di notevole interesse che tra i 25 paesi aderenti vi siano anche Giappone, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Inoltre, va colta come una grande opportunità il crescente favore dell’opinione pubblica del Canada per l’ingresso di quel paese nell’UE. Un recente sondaggio di Abacus Data ha rilevato che il 68 per cento dei canadesi considera positiva tale prospettiva.
È un bene che l’UE si apra a rapporti di collaborazione con questi paesi per garantire la propria sicurezza. Vanno costruite istituzioni sovranazionali che disincentivino comportamenti gerarchici dei più forti e opportunistici dei più deboli. Anche la sicurezza alimentare ne uscirà rafforzata. Si potrà, infatti, estendere ai prodotti agricoli di questi paesi la normativa europea, notoriamente più restrittiva dal punto di vista della sostenibilità. L’agricoltura europea è già una potenza, in termini quantitativi, nello scenario internazionale. Deve darsi ora una visibile e coerente strategia fondata sulla sicurezza alimentare, sia sul piano produttivo che su quello tecnico-scientifico. Il riarmo europeo è un’occasione per operare tale svolta.
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