La riunione dell’Eurogruppo del 7 aprile non è ancora terminata, segno di quanto sia difficile raggiungere un consenso rispetto alle misure straordinarie da attuare a breve termine per rispondere alla crisi economica scatenata dal quella sanitaria del coronavirus. Teoricamente, questa crisi fornisce la possibilità di concepire un primo nucleo di fiscalità europea se, dall’ennesimo meccanismo su cui dovrebbero concordare i 27 Paesi, si giungesse a quella unità istituzionale invocata dal Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, parlando ad un canale tedesco il 5 aprile: “se non facessimo questo potremmo essere tutti esposti alla legge del più forte, perché o ne usciamo insieme oppure sarà molto difficile resistere alle tentazioni di chi sarà più forte e vorrà condizionare lo spazio europeo”.

Il percorso è tortuoso e assai problematico già nella forma ancor prima che nella sostanza: come neutralizzare il più forte se l’organo nuovamente al centro dell’attenzione, l’Eurogruppo, è “un organo informale in cui i Ministri degli Stati membri dell’area dell’euro discutono questioni relative alle loro responsabilità condivise relative all’euro”? Il carattere informale, stabilito per trattato, è giustificato dalla necessità di dare quanta più flessibilità possibile ai partecipanti alle riunioni del gruppo di Stati che hanno adottato l’euro, e ciò include anche l’assenza di qualsiasi documento ufficiale che registri le posizioni di detti Stati. Eppure il compito principale non è da poco, essendo quello di “garantire uno stretto coordinamento delle politiche economiche tra gli Stati membri dell’area dell’euro. Mira anche a promuovere le condizioni per una crescita economica più forte.”

I difensori di questa non-Europa si appigliano ai richiami alla responsabilità e alla solidarietà della Commissione Europea che, da parte sua continua a fare quello che può. Ad oggi ha attivato il programma “Sure” del valore di 100 miliardi di euro a sostegno di meccanismi come la cassa integrazione; la Banca Europea per gli Investimenti ne sbloccati altri 200 a favore delle piccole e medie imprese; altri 40 miliardi circa derivano da una maggiore flessibilità applicata ai fondi strutturali.

Tuttavia, l’appello all’unità del Presidente Sassoli mi ha fatto tornare prepotentemente in mente le parole di Marco Pannella su precedenti appelli andati a vuoto. Nel maggio 2004, intervenendo nella plenaria del Parlamento europeo, il leader radicale scomparso 4 anni fa tra pochi giorni, disse: “In Europa, i popoli e le istituzioni unite furono la Berlino nazista, la Roma fascista, la Parigi di Vichy, la Spagna e il Portogallo! Quell’Europa delle patrie non era quella del Manifesto di Ventotene; era solo l’Europa della Shoah. Nella storia d’Europa, in un solo caso il popolo europeo è stato unito: nel massacro del popolo ebreo di tutta Europa, come popolo della diversità, omosessuale o rom, come popolo della Shoah!”.

È certamente difficile essere all’altezza del pensiero dei padri fondatori. Il loro progetto prevedeva un cammino verso un’unione sempre più stretta, accomunando alcuni domini, in cui grazie a leggi democratiche uguali per tutti non vigesse quella del più forte. Purtroppo, non spetta all’Europa scegliere quali strumenti creare ed attivare, ma ai 27 Stati membri. Questa è l’Europa intergovernativa, quella dell’Eurogruppo, non quella dei padri fondatori.

E come già accaduto, torna sotto i riflettori la Germania, stavolta in compagnia dei Paesi Bassi, che continua a “primeggiare” secondo il proprio interesse nazionale e secondo l’articolo 115 della sua Costituzione federale che pone limiti alla capacità di accumulare debito. All’epoca della riunificazione tedesca, Giulio Andreotti, che vedeva le opportunità ma anche i rischi legati ad all’accresciuta potenza economia di Berlino, diceva di amare talmente tanto la Germania da volerne due. Marco Pannella, tentò come al solito di andare oltre il timore, proponendo la creazione di istituzioni federali europee. Fondamentale, in questo senso, avrebbe dovuto esser la concessione di poteri reali al Parlamento (sempre promessi e mai accordati dal Consiglio) che avrebbe potuto esercitare pienamente i poteri di rappresentanza e controllo, in quanto prerogativa di ogni legislativo rispetto all’esecutivo. Nel novembre 1989, Pannella disse nell’aula di Strasburgo: “quel che dobbiamo sottolineare in questo dibattito è un’affermazione in apparenza tranquillizzante ma per me preoccupante da parte del Cancelliere Kohl, quando ha detto, riprendendo Adenauer: “una Germania unita e libera in un’Europa unita e libera”. Questo è pericoloso oggi. Quel che per Adenauer era una posizione molto importante, è per noi positiva. Ma oggi che l’Europa esiste e che i problemi dell’unità tedesca non si pongono che nella libertà e nella democrazia, tutto questo è vecchio e ci fa capire come spesso dietro le parole del Cancelliere della Germania Ovest troviamo gli echi di Ollenhauer piuttosto che di Adenauer e me ne dolgo”.

Fu ancora più esplicito, sempre al Parlamento europeo, nel maggio 1990: “(…) qualche giorno fa, commemorando uno dei grandi padri, è stato ripetuto: “unione politica e poi federazione”. Ma quale unione politica?! Bisogna dire quale! Altrimenti ricadiamo nella cooperazione politica! Permettetemi di dire che dobbiamo preoccuparci di una cosa: il Cancelliere Kohl parla di “processo e quadro” se è l’Europa, e parla di “patria e sovranità” se è la Germania. Questa Germania riunificata non è mai esistita in quanto tale a livello della democrazia. È un nuovo dato e se questo dato non s’inserisce nel quadro della patria e della sovranità europea, temo che arriveranno giorni davvero brutti per chi crede che democrazia, libertà ed Europa costituiscano un insieme inevitabile per gli Stati Uniti d’Europa oggi.”

Germanofobia? No, semplice presa d’atto che perseguendo il proprio interesse nazionale, come fa esattamente ogni Stato membro, la Germania avrebbe assunto il ruolo del più forte, protraendo e aggravando la non-Europa.