Democrazie in progress, la nuova rubrica
Una terza via contro l’astensione e la crisi della democrazia: il modello francese e catalano
La nuova rubrica “Democrazie in progress” di Emanuele Cristelli, consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali e appassionato di democrazia e istituzioni
È da molti anni che (non) affrontiamo il tema della crisi della democrazia rappresentativa in Europa. Già, in Europa perché al netto delle credenze, ci sono posti nell’Occidente dove la partecipazione al voto aumenta anziché calare, come negli Stati Uniti, per motivi che magari affronteremo in uno spazio dedicato. In molti ci siamo chiesti se questa tendenza fosse provocata dalla disaffezione nei confronti della politica, che ha deluso. E su questo sentimento ha lucrato il populismo grillino in Italia e altri Populismi in Europa: ma non è bastato, tanto che non hanno riportato a votare gli astenuti, ma hanno radicalizzato elettori già votanti e dentro il gioco democratico.
Poi è stato il tempo delle riforme istituzionali: c’è stato un tempo in Italia in cui i riformisti avevano capito che la crisi era più profonda, e le ragioni erano da ritrovare in una democrazia da ripensare: una camera che coinvolgesse i territori, i referendum propositivi, un procedimento legislativo più veloce e delle istituzioni più incisive sulla vita dei cittadini, dandogli maggiore potere di scelta.
Come andò quel tentativo lo sappiamo: oggi continuano a non venire meno le ragioni di quella battaglia, che forse però oggi a posteriori possiamo integrare con qualche riflessione ulteriore. C’era un tempo una complessità nei fenomeni sociali molto ridotta e che era più facilmente rappresentabile negli schemi della semplice democrazia rappresentativa: partiti, parlamento, governo, sindacati.
La società di massa è svanita, ha lasciato il posto a una maggiore atomizzazione delle esistenze degli individui, una differenziazione sempre più ampia del lavoro, l’aumento incredibile di opportunità e un ventaglio di scelte di vita dettato dallo sviluppo della globalizzazione e del web. Non è che allora forse, semplicemente, la politica e le istituzioni pensate nel ‘900 non riescono proprio capillarmente a intercettare tutte le cerchie e bolle di cittadini come un tempo? Per dirla brutalmente, non è che semplicemente oggi politica e istituzioni non arrivano materialmente vicini ai cittadini, i destinatari della loro azione?
I dati dicono che strutturalmente il 30-35% di cittadini che non votano non si recano alle urne perché ritengono che le istituzioni per cui dovrebbero andare a votare non abbiano capacità di incidere nelle loro vite: non è né odio, né rabbia, né disaffezione. È la constatazione che, e non possiamo biasimarli, le istituzioni non hanno più la stessa capacità di far accadere le cose che avevano un tempo.
Vuoi perché non hanno un confronto ampio e plurale con tutti i segmenti della società, impedendo l’elaborazione di policies efficaci e percepite come utili e urgenti, oppure perché la dimensione dei problemi sfugge ai perimetri istituzionali esistenti e ci vorrebbe maggiore cessione di sovranità ad esempio in sede Europea, oppure riportare determinate competenze in capo agli stati centrali, e implementarne di nuove per le istituzioni locali.
Integrare e arricchire la democrazia rappresentativa con rinnovati strumenti di maggior coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali è l’unica strada per garantirne sempre di più la stabilità, la legittimazione e la sua stessa capacità di rinnovarsi: assemblee di cittadini sul modello francese lanciato da Macron, Decidim in Catalogna, democrazia partecipativa, referendum propositivi, patti di collaborazione per i beni comuni, e tutti quegli strumenti per rinvigorire la democrazia rappresentativa e rispondere alla crisi della partecipazione.
Forse tocca proprio a noi riformisti iniziare a battere questo selciato, ben consapevoli che rischieremo di essere tacciati come utopisti da un lato e velleitari dall’altro, ma del resto non abbiamo alternative: o andiamo alla radice dei problemi noi e troviamo soluzioni ad essi, o non lo farà nessun altro. Dando un occhio a quello che avviene in Europa e nel Mondo e anche alle buone pratiche dei nostri territori in Italia forse possiamo iniziare a muovere i primi timidi, ma decisi passi verso il rinnovamento della nostra democrazia: tutto sta a partire, democrazie in progress.
© Riproduzione riservata