Gibuti è diventato il crocevia della geopolitica del Medio Oriente e del Corno d’Africa e la piccola repubblica affacciata sulle coste del Mar Rosso è stata soprannominata lo “stato delle basi”. Qui infatti oltre alla storica base militare francese, un tempo i padroni di Gibuti che veniva chiamata la Somalia francese, una dopo l’altra si incontrano la base americana, quella giapponese e quella italiana. Più lontano hanno trovato posto anche gli spagnoli e gli inglesi e un po’ isolati, come è loro costume, nella vitale zona del porto anche Pechino ha deciso di aprire la sua prima base all’estero.

Il colonnello Stefano Capriglione nella base italiana a Gibuti

La Base Italiana Militare di Supporto è da anni una solida realtà e svolge attività di grande rilevanza. La base è intitolata ad Amedeo Guillet, il “comandante diavolo”, personaggio leggendario che guidò la resistenza contro gli inglesi nell’Africa orientale italiana e che può essere definito come un “Lawrence d’Arabia italiano”. In questo lontano lembo d’Italia sotto un comando interforze convivono le anime delle forze armate italiane lavorando a stretto contatto con la popolazione locale. Il comandante della base è il colonnello Stefano Capriglione, subentrato alla fine di febbraio al capitano di vascello Marco Maraglino, a simboleggiare come il comando passi dalla marina all’esercito in un continuo avvicendamento. Il ruolo della BMIS è come dice il suo nome quello di supportare le navi che attraccano nel vitale porto di Gibuti, uno snodo diventato ancora più determinante per gli equilibri della regione, dopo che gli Houthi dello Yemen hanno iniziato ad attaccare le navi che attraversano lo stretto di Bad el Mandeb.

“La nostra è una base di supporto nata nel 2013 proprio per essere di sostegno alle operazioni italiane in questa area così delicata. Abbiamo lavorato con la Missione Atalanta, nata nel 2008, per combattere la pirateria sulla costa somala e adesso con l’Operazione Aspides dell’Unione Europea che ha fatto arrivare il cacciatorpediniere lanciamissili Caio Duilio qui a Gibuti. Noi ci siamo occupati di tutta la logistica per la nave italiana, sia per quanto riguarda l’equipaggio che i rifornimenti. L’anno scorso abbiamo anche gestito l’evacuazione dei nostri connazionali sia civili che militari dal Sudan, che era precipitato nella guerra civile. Lavoriamo a stretto contatto con le autorità gibutiana e posso orgogliosamente dire che abbiamo un ottimo rapporto anche con la popolazione locale con la quale portiamo avanti diversi progetti”.

Un’organizzazione di successo quella italiana, ben inserita in un tessuto articolato come quello gibutiano dove gli equilibri geopolitici sono sempre importanti. All’interno della BMIS “Amedeo Guillet” è presente anche una missione di addestramento dei carabinieri denominata Miadit, che si occupa di preparare le forze di polizia di Gibuti e le forze di polizia della Somalia, paese particolarmente delicato vista l’insicurezza che ancora regna a Mogadiscio.

Il colonnello Maurizio Mele guida la Miadit che si occupa di preparare le forze di polizia di Gibuti e le forze di polizia della Somalia, paese particolarmente delicato vista l’insicurezza che ancora regna a Mogadiscio

Il colonnello Maurizio Mele guida la Miadit che sta ottenendo risultati davvero notevoli. “Sono oltre dieci anni che i carabinieri hanno il privilegio di formare le forze di polizia locali e somale, i nostri corsi puntano ad innalzare le loro capacità operative sul terreno nelle più moderne attività di polizia. Questo credo sia particolarmente importante per la polizia somala che si trova ad operare in situazione davvero critiche. Devo ammettere che noi abbiamo un rapporto di privilegio in questo complesso scacchiere africano, l’Italia ed i suoi militari sono considerati come un vero e proprio sostegno e questo messaggio arriva anche alla popolazione che ce lo conferma con quotidiane dimostrazioni di affetto mentre svolgiamo le nostre attività. Si tratta di reciproco rispetto sia con i colleghi che con gli abitanti e questo credo che sia l’unico modo per lavorare insieme per costruire un futuro migliore”. Il Corno d’Africa, il Mar Rosso, il canale di Suez e l’accesso all’Oceano Indiano sono tutte partite che si giocano in questo triangolo di terra dove l’Italia e soprattutto l’Europa dovranno fare la propria parte.

 

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Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi