“Vengo dal paese dove i sogni li chiaman ca**ate”. Recita così il primo verso del pezzo che aprirà il suo disco e che è un po’ la cifra del suo lavoro: cantare, rappare e nel farlo raccontare quello che prova una intera generazione di giovani che vivono al Sud. È questo l’obiettivo di Pico, nome d’arte di Ludovico Izzo, 25 anni, nato, cresciuto e ispirato a Procida, piccola isola nel golfo di Napoli che nel 2022 è stata la capitale della cultura. Il 23 dicembre è uscito su tutte le piattaforme digitali il suo ultimo singolo dal titolo “Young Louis”. Una voce controcorrente che grida a tutti: “Il rap al Sud troppo spesso racconta solo di violenza. Ma essere giovani al Sud è molto altro: è cercare di seguire i sogni troppo spesso negati. Il mio primo album è un tributo ai lasciati fuori, a chi aveva un sogno ma non è riuscito a realizzarlo”.

Per Pico, la passione per la musica è iniziata per gioco quando aveva 20 anni. “Ero scritto all’Università, Informatica – racconta al Riformista – Con dei miei amici avevamo un gruppo su Whatsapp su cui per gioco scrivevamo delle rime. Ci accorgemmo che non erano male e così mi consigliarono di farne un mixtape. Le mettemmo su soundcloud, solo per noi. Ma la passione per quella musica e quel tipo di espressione cresceva ogni giorno di più. I ragazzi di Ars Nova poi mi misero in contatto con quelli che sarebbero presto diventati i miei produttori, Simone Capurro, Starchild, e Alex Silvestri”. Tutti 25enne napoletani che guardano lontano e pensano in grande.

Nella sua prima esplorazione Pico si era avvicinato a uno stile più lirico, pieno di parole, con un rap “old school” molto concentrato sulle rime. “Era un misto di rap e soul fatto per sperimentare, ma tutto quello che ho prodotto è rimasto nel cassetto, è per il futuro”, spiega il cantante. E racconta di quella passione che aveva sin da bambino per la scrittura. “Mai avrei pensato che quello che scrivevo potessero diventare canzoni – dice – la musica mi piaceva ma non mi identificavo e non mi rispecchiavo nel rap italiano e così ho deciso di mettermi anche io in gioco: ho iniziato con la sperimentazione alternative Hip Hop italiana sulla scia di Kendrick Lamar. È lui l’artista che ha risvegliato in me qualcosa, come un interruttore”.

E così è nato il primo singolo dal titolo “Democrazia dei singoli”. Pico racconta che dopo averlo pubblicato sulle piattaforme andò malissimo. “Poche visualizzazioni – racconta – ma nel momento in cui è andato male ho capito che non mi dovevo fermare proprio per l’amore che ho per la musica: non potevo tradirla e ho continuato a sperimentare e pubblicare. Ci sono state altre pizze in faccia che però mi sono servite a insistere e andare avanti. Fu allora che ho capito che stavo facendo musica per piacere agli altri e questo era sbagliato. Io sono una persona molto mite caratterialmente. Ho conosciuto una parte di me più aggressiva e competitiva, che non conoscevo. Young Louis, appunto, che ha preso il posto di Pico. E le cose sono andate meglio”. È come se Pico, piccolo e innocente, fosse entrato in un mondo enorme come quello della musica, senza tradire la sua natura “giovane” e “pura”. “Young Louis è l’alterego di Pico – spiega il rapper – è proprio l’ego che come un’armatura protegge l’io”.

I primi successi arrivano con il singolo “Red Light”, uscito con Machete e Sony Columbia dopo aver vinto il contest “Cantera Machete” su Twitch. “Grazie a quella competizione per me si sono aperte le porte dell’ Rca Studio di Milano. Per me è stata un’esperienza indescrivibile: ero già stato lì, ma ero rimasto fuori. Avevo portato una demo come fanno tanti ragazzi che sognano la musica. E invece in quel momento ero lì, dentro, invitato ad esserci e a registrare. Un sogno che era diventato realtà. Quell’esperienza ha rinnovato la mia determinazione: mi sono reso conto che non avevo nulla in meno rispetto agli altri rapper. Anche se faticoso, anzi, proprio perché è faticoso. Era la fatica a indicarmi la giusta direzione. Se fosse stato facile arrivare fin lì forse non sarebbe stato così”.

Quello che Young Louis, da ragazzo nato e cresciuto al Sud, proprio non tollera è la retorica che anche i rapper meridionali spesso appoggiano, che vuole il rap per raccontare solo di rapine, pistole e violenza. “Nel rap non si parla mai dei normali, dei ragazzi lasciati fuori perché non hanno la forza o le possibilità di inseguire i loro sogni – racconta Pico – Eppure i sogni sono fondamentali: senza sogni l’uomo resta uomo ma vale solo la metà, è l’ombra di se stesso. Con le mie canzoni voglio raccontare drammi quotidiani di ragazzi della mia età e il nostro mondo interiore”.

A 25 anni Pico ha già toccato con mano i drammi della sua generazione e quella fatica per provare a realizzarsi comune anche ai suoi coetanei. “Io, per esempio, sono un giovane di Procida, una piccola isola dove non ci sono stimoli. Dopo la scuola ogni ragazzo deve decidere se inseguire i propi sogni lontano oppure restare e fare quello che fanno tutti, anche se non ti piace”. Pico è rimasto a Procida ma ai sogni non rinuncia e ce la sta mettendo tutta per realizzare i suoi inseguendo la musica. “Io devo molto alla mia isola – spiega – ma ammetto che è come una relazione tossica con una donna che c’è ma non ti ama più e non ti dà più niente”.

Pico parla delle difficoltà che riscontra quotidianamente. “Forse fare musica al Sud è ancora più difficile – dice – C’è bisogno di talento, certo, se non ce l’hai non puoi andare avanti. Ma a volte ho l’impressione che al Sud non riesci proprio a far arrivare la tua voce da nessuna parte. Per esempio in Campania non ci sono proprio realtà che promuovono musica. Eppure di artisti bravi ce ne sono e come. Anche il rap napoletano è al top. Penso ad artisti come Geolier ad esempio. È come se fossimo isolati”.

Ma dell’essere meridionale il musicista ha preso anche tutto il meglio. Essendo cresciuto senza il papà, presto ha imparato da quelli che vedeva intorno a lui l’arte di arrangiarsi e a ritrovare in loro tutto quello che gli mancava e di cui aveva bisogno. “Ho imparato dalla gente a prendere le cose con filosofia – dice – e a riuscire ad affrontare ogni situazione. La mia musica non viene solo da me ma da tutti quelli che hanno versato acqua nella mia ‘brocca’. È come scritto in Siddharta. La mia brocca non è ancora piena ma penso che quello che c’è dentro non è da buttare”.
Nonostante le difficoltà Pico, con impegno e perseveranza, continua per la sua strada: “Spero che questa faticata che sto facendo e che non ho voglia di mollare mi porti sui palchi di tutta Italia – continua – voglio stare in contatto con le persone e fare la musica perché amo la musica. Ancora di strada ne ho da fare ma sono certo che troverò il mio posto nel mondo grazie alla musica”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.