L’avvocato del popolo Giuseppe Conte sa che cosa scrivono i suoi legali? Probabilmente no. Eppure questa storia lo riguarda da vicino. C’è un uomo di 61 anni, si chiama Giuseppe Gulotta e ha passato più della metà della sua vita nei tribunali, ha scontato 22 anni di carcere, è stato torturato in una caserma dei carabinieri di Alcamo, in Sicilia, affinché confessasse un delitto atroce mai commesso, aver ucciso due carabinieri, Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo. Il processo che lo ha spedito all’ergastolo insieme ad altri quattro compagni di sventure era basato su una lunghissima serie di prove false e di abusi, una frode processuale. Dopo trentotto anni Gulotta è stato riabilitato, una sentenza di Cassazione gli ha ridato l’onore e la libertà.

Gulotta è un timido. Finisce in tv in prima serata a raccontare la sua vita randagia e il miracolo che l’ha salvata, ma non si monta la testa, mai una parola fuori posto: è stato un detenuto modello e da libero è un modello di moderazione. Ringrazia i giudici, ricorda sempre le vittime della strage di Alcamo e ha un piccolo sogno nel cassetto: che le istituzioni gli mandino un segnale, un gesto di conciliazione, di solidarietà. La sua storia, arrivata fino al salotto tv di Fabio Fazio, non ottiene però davvero le luci dei riflettori mainstream che avrebbe meritato. Non si fa vivo nessuno. Perché mai? Probabilmente perché quella di Gulotta è una storia “maledetta”. Maledetta come tutte le storie di mafia e di antimafia. A capeggiare il nucleo che tortura e manda Gulotta all’ergastolo, insieme ad altri quattro ragazzi di cui due minorenni, è infatti il colonnello Giuseppe Russo, braccio destro di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Russo viene ucciso nel ‘77, l’anno successivo ai fatti di Alcamo che costano la prigione a Gulotta. Anno in cui la sua squadra si macchia di un altro orribile episodio. A seguito della morte del loro capo, ucciso per mano mafiosa a Ficuzza, torturano tre pastori analfabeti. Ma torniamo a Gulotta e alla sua solitudine. Che qualcosa non funzioni viene percepito anche dalla Suprema Corte.

Mentre la Cassazione chiede la sua assoluzione, l’avvocatura dello Stato va giù durissima: Gulotta è colpevole, non è mai stato torturato, vi sta prendendo in giro. «Per chi lavorate voi?», sbotta in aula il Procuratore Generale rivolgendosi ai legali dello Stato. Incredibile vero? La Corte condanna l’Avvocatura a una pena pecuniaria, hanno portato avanti una lite temeraria. Soldi pubblici, ovvio (e scusate la retorica). È l’inizio del cortocircuito. Due anni dopo la stessa avvocatura si oppone al risarcimento per l’ex-ergastolano, «non merita nulla, è colpevole». Le sentenze della Cassazione per questi principi del Foro sono evidentemente carta straccia: un colpo di Stato contro lo Stato di diritto. Siete sicuri di essere al sicuro? Per tornare alla nostra storia, il risarcimento per Gulotta arriva ma è parziale: 6 milioni di euro per 22 anni in carcere e 36 di processi. La Corte che lo accorda aggiunge che Gulotta «avrebbe dovuto agire con una tipica azione aquiliana verso i militari responsabili dei fatti di reato che assume essere stati causa della sua ingiusta condanna evocando in giudizio pure i competenti Ministeri con cui quei militari si trovavano in rapporto di immedesimazione organica».

E siamo ad oggi. Martedì si apre a Firenze un processo per risarcimento danni, a essere citato è il vertice del Governo: da Conte ai ministri della Difesa e Interno, Guerini e Lamorgese e con loro il Comando generale dell’Arma e i tre carabinieri che operarono abusi e torture. È la prima volta, mai nessuno aveva “osato tanto”. Ma di nuovo per gli avvocati del governo nulla è dovuto. E la faccia feroce che ancora una volta lo Stato mostra a Gulotta riesce anche a piegarsi in un ghigno che in confronto il Marchese del Grillo appare San Francesco. Non solo secondo gli avvocati del governo «non ci sono prove degli abusi», ma ammesso che ci siano stati i reati sono prescritti ( si parla di tortura e prove false, non di una mancata notifica) e quindi è prescritto l’eventuale risarcimento. E si arriva agli insulti in carta bollata e con le stimmate del governo: Gulotta, scrivono gli avvocati di Conte «ha prodotto in questo processo solo carte» per provare il danno ricevuto. E che cosa avrebbe dovuto produrre secondo gli azzeccagarbugli del Governo, fiaschi di vino e stracotto di asino? Attenzione, questo punto riguarda tutti non solo Gulotta. Perché quelle che vengono definite solo “carte” sono sentenze di Cassazione, sentenze di tribunali, indagini compiute da Procure. Come può lo Stato far finta che non esistano, come può negarle? Può capitare a chiunque.

Non basta. Secondo l’Avvocatura Gulotta ha già ricevuto “una macroscopica cifra”. Della serie, che cosa vuole ancora? Alzi la mano chi farebbe a cambio, chi baratterebbe la propria vita, 22 anni di carcere e 38 di processi con 5 milioni? E siamo alla fine. Martedì prossimo si apre a Firenze il processo di risarcimento, da una parte una vittima conclamata, dall’altra lo Stato, l’Arma dei Carabinieri, il vertice del Governo. È la prima volta: perché Gulotta, e i suoi avvocati Pardo Cellini e Saro Lauria, sono coraggiosi e testardi. Qualsiasi sia l’entità del risarcimento c’è un principio da ribadire: non siamo sudditi. E se questo fosse un film l’avvocato del popolo Giuseppe Conte si presenterebbe in aula e prenderebbe posto accanto a Giuseppe Gulotta, al cittadino modello Giuseppe Gulotta. Che lo Stato ha lasciato sempre solo. Lo lasceranno solo anche i parlamentari di questo Paese? Sicuri che vogliano arrendersi a un simile abominio?

Nicola Biondo

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