La Commissione giustizia del Senato abolisce martedì il reato di abuso d’ufficio ed immediatamente ieri l’Associazione nazionale magistrati ed i suoi giornali di riferimento gridano al “colpo di spugna“, cercando di coinvolgere nella battaglia manettara gli esponenti del Pd e dei Cinquestelle. Un coinvolgimento riuscito solo “a metà” in quanto, tranne i senatori, tutti gli amministratori locali del Pd (i Cinquestelle non hanno più nessuno sul territorio) erano ben contenti dell’esito del voto parlamentare. “Noi sindaci chiedevamo da dieci anni la revisione del reato di abuso d’ufficio. È un reato che nel 95% dei casi finisce in assoluzione o archiviazione e che un amministratore rischia di compiere esclusivamente votando o firmando un atto. Non funziona e ha rischiato finora di intasare un sistema giudiziario già storicamente troppo lento”, ha dichiarato un soddisfatto Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro e coordinatore di tutti i sindaci dem. “Nel Pd c’è stata una grande discussione sul tema: noi sindaci, pur rispettando la posizione dei parlamentari dem, che hanno votato contro il provvedimento, non possiamo che considerare quella di oggi come una vittoria”, ha sottolineato Ricci.

A favore dell’abuso d’ufficio, come detto, la parte più ideologizzata della magistratura che vede il concreto rischio di non avere più il reato “prezzemolo” da usare come una clava e con una discrezionalità senza pari. Con la cancellazione del reato di abuso d’ufficio “l’Italia assumerà una posizione di debolezza rispetto all’Ue, che invece chiede che la norma sia presente nei codici penali di tutti gli Stati anche soltanto in una forma destinata a sanzionare una fattispecie minore di illegalità da un punto di vista quantitativo pur di evitare che esistano ambiti di totale impunità”, ha tuonato il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia. “Come può il diritto penale restare indifferente a un pubblico funzionario che abusa dei suoi poteri, che prevarica i diritti dei cittadini, che assume comportamenti di angheria nei confronti dei diritti dei privati? Questo è inaccettabile”, ha quindi aggiunto Santalucia evocando scenari apocalittici. A dargli manforte, il pm romano Eugenio Albamonte, suo predecessore al vertice dell’Anm ed anch’egli esponente della sinistra giudiziaria che si è spinto ad evocare addirittura il “conflitto di classe”.

“Il governo ha introdotto nuove fattispecie criminali su questioni minori come i rave party o gli imbrattamenti dei muri per ragioni di demagogia penalistica e poi invece si guarda bene dal rafforzare il sistema sanzionatorio, anzi lo indebolisce. È un governo che si mostra forte con i deboli e debole con i forti, che combatte una presunta ribellione di marginalità sociale e vezzeggia i politici locali quando commettono reati”, ha esordito Albamonte. “C’è stata una pressione forte da parte degli amministratori locali proprio all’insegna dello slogan della paura della firma ma gli amministratori locali non dovrebbero avere alcuna paura se agiscono sapendo di rientrare nei parametri della legalità. Non dovrebbero temere la mera iscrizione nel registro degli indagati perché altrimenti cosa dovrebbero fare medici, giornalisti e magistrati, vale a dire tutte le categorie ad alto tasso di esposizione a denunce?”, ha aggiunto poi Albamonte, ritenendo evidentemente la cosa più normale essere indagati, dover nominare un avvocato, spendere dei soldi per difendersi, e sperare di trovare un giudice che si sia letto le carte e che poi assolva l’innocente di turno.

Ma la “chicca” dell’Albamonte-pensiero ha riguardato la cancellazione, a seguito dell’abrogazione del reato, di oltre tremila condanne definitive per abuso d’ufficio. “Si tratta di fattispecie rilevanti con abusi che risulteranno privi di ogni sanzione anche quando sia accertata la responsabilità penale. Non mi sembra un grande segnale nei confronti dell’opinione pubblica”, dimenticando le decine e decine di casi in passato in cui reati sono stati modificati o, come in questo caso, abrogati.