Anche ieri Gazprom, la multinazionale attiva nell’estrazione e vendita di gas naturale controllata dal governo russo, ha consegnato volumi di gas minori rispetto a quelli richiesti da Eni, la multinazionale italiana dell’energia guidata da Claudio Descalzi. È quanto si legge sulla piattaforma tecnica del Gme, la società italiana che organizza e gestisce il mercato elettrico. «A fronte di una richiesta giornaliera di gas da parte di Eni pari a circa 63 milioni di metri cubi, Gazprom ha comunicato che fornirà solo il 50% di quanto richiesto», aveva fatto sapere l’Eni venerdì scorso.

Al resto dell’Europa non va meglio, anzi: la Francia, ha reso noto l’operatore GRTgaz, non riceve più il flusso dal gasdotto dal 15 giugno, quando era stato bloccato anche in Germania. La stessa decisione è stata presa la settimana scorsa nei confronti dell’Austria ed era arrivato l’alert anche per il Nord Europa. Il nodo è sempre il gasdotto Nord Stream, dove Gazprom lamenta l’impossibilità di eseguire alcuni lavori di riparazione alle turbine da parte di Siemens per effetto delle sanzioni imposte alla Russia. «Noi, come la Germania, riteniamo che siano bugie», ha detto ieri il premier Mario Draghi parlando di un «uso politico del gas come del grano». Brutte notizie anche sul piano dell’inflazione: il prezzo del gas all’hub di riferimento olandese Ttf arriva infatti a 126 euro al megawattora. Sulla piazza di Amsterdam, infatti, l’incremento dei futures sui contratti sul mese di luglio è del 7,02%.

Proprio per far fronte a questo mix di emergenze – da un lato, le forniture, dall’altro, l’aumento dei prezzi – è in programma per oggi la riunione del Comitato tecnico di emergenza e monitoraggio del gas naturale, istituito presso il Ministero della transizione ecologica, per discutere sul possibile innalzamento dallo stato di ‘preallarme’ attuale ad ‘allarme’. Alla riunione del Comitato – che si incontra periodicamente ed è composto da tecnici del Mite, Arera e imprese di trasporto e stoccaggio tra cui Snam e Terna – dovrebbe seguire un’altra riunione domani che vedrà protagonisti il ministro Roberto Cingolani e le società che forniscono il gas, tra cui Eni ed Enel. La settimana scorsa ha visto una escalation sul fronte della battaglia per l’approvvigionamento del gas. Si registra, finalmente, una buona notizia per l’Italia. L’Eni è stata selezionata da QatarEnergy come nuovo partner internazionale per l’espansione del progetto North Field East (Nfe). Il ministro di Stato per gli Affari Energetici, presidente e amministratore delegato di QatarEnergy, Saad Sherida Al-Kaabi, e l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, hanno firmato nel weekend l’accordo di partnership per la creazione della nuova joint venture.

QatarEnergy deterrà una quota del 75% e Eni il restante 25%. La joint venture a sua volta deterrà il 12,5% dell’intero progetto Nfe, di cui fanno parte 4 mega treni Gnl – il gas naturale liquefatto che si ottiene sottoponendo il gas naturale, dopo opportuni trattamenti di depurazione e disidratazione, a successive fasi di raffreddamento e condensazione – con una capacità combinata di liquefazione pari a 32 milioni di tonnellate/anno. «Stiamo entrando in un progetto importante per il rafforzamento della sicurezza energetica globale, che assume particolare rilevanza nella fase storica che stiamo vivendo. Eni sta lavorando a questo accordo da diversi anni e anche grazie al supporto del nostro Governo l’abbiamo finalizzato», ha spiegato l’amministratore delegato Claudio Descalzi, a margine della cerimonia per l’accordo di partnership con QatarEnergy per l’espansione del progetto North Field East.

Il progetto Nfe, spiega Eni, consentirà di aumentare la capacità di esportazione di gas naturale liquefatto del Qatar dagli attuali 77 mtpa (milioni di tonnellate per anno) a 110 mtpa. Con un investimento di 28,75 miliardi di dollari, Nfe dovrebbe entrare in produzione entro la fine del 2025 e impiegherà tecnologie e processi all’avanguardia per minimizzare l’impronta carbonica complessiva, tra cui la cattura e lo stoccaggio della CO2. L’accordo, segna il completamento di un processo competitivo iniziato nel 2019, ha una durata di 27 anni. Si tratta di una mossa strategica per Eni, che rafforza la propria presenza in Medio Oriente ottenendo l’accesso a un produttore di Gnl leader a livello globale, con riserve di gas naturale tra le più grandi al mondo. Questa collaborazione rappresenta inoltre una tappa significativa nella strategia di diversificazione dell’azienda, che amplia il proprio portafoglio di fonti energetiche più pulite e affidabili. Aggiunge De Scalzi: «Confido che questa partnership strategica ci potrà dare un aiuto ulteriore, in termini di maggiori disponibilità di gas sul mercato. Il tutto in un quadro di sostenibilità ambientale della produzione garantita dall’utilizzo di processi e tecnologie all’avanguardia, continuando quindi a restare fermamente nei binari del nostro percorso di transizione energetica».

Secondo i dati di S&P Global Commodity Insights, il Qatar è diventato il più grande esportatore al mondo di Gnl ad aprile superando Usa e Australia. Il 12 giugno scorso, QatarEnergy aveva formato con TotalEnergies una joint venture (75%/25% come quella con Eni) diventando il primo partner per il progetto, di cui si è aggiudicato una quota del 25%. Le reazioni positive dei mercati non si sono fatte attendere. Ieri, dopo l’annuncio dell’ingresso in quello che è considerato come il più grande progetto al mondo di gas naturale liquefatto, Eni è stata positiva a Piazza Affari, dove ha guadagnato l’1,2% a 12,16 euro.  Resta il fatto che l’accordo concluso dall’Eni con il Qatar comincerà a produrre i suoi effetti solo dal 2025. Ciò significa che, nel frattempo, il governo dovrà attrezzarsi per fronteggiare l’emergenza in corso. Se, come appare in queste ore, il taglio della fornitura di gas dalla Russia continuerà, il Ministero della Transizione ecologica dovrà inventarsi qualcosa. Non c’è ancora il rischio di misure eccezionali: tagli di forniture alle centrali elettriche e alle industrie, utilizzo degli stoccaggi, soglie di temperatura per le caldaie nel prossimo inverno. Queste misure scatterebbero solo se fosse dichiarato lo stato di emergenza.

Ma non siamo ancora arrivati a quel limite. Ad oggi, come emerge dai dati che mostrano una richiesta giornaliera di 155 milioni di metri cubi a fronte di 195 milioni di metri cubi disponibili, il sistema regge. E a frenare gli stoccaggi più che le quantità importate sono i prezzi. In caso di allarme, il Mite potrebbe chiedere a Snam, il principale trasportatore di metano nel paese, di chiedere a sua volta alle industrie di ridurre volontariamente i loro consumi, come prevedono i contratti di fornitura. Il “Piano di emergenza del sistema italiano del gas naturale”, contenuto nel decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 18 dicembre 2019, prevede che in caso di preallarme e allarme non venga attivata “alcuna misura non di mercato”. Infatti, le azioni di mercato più opportune a permettere il ripristino tempestivo di una situazione di normalità sono demandate alle società energetiche.

Queste misure, a carico di Eni e altri operatori, sono tre. In primo luogo, la riduzione della domanda di gas derivante da contratti di natura commerciale che si possono interrompere. Poi c’è l’impiego di combustibili di sostituzione alternativi negli impianti industriali, il che sostanzialmente si traduce nel derogare temporaneamente alla decarbonizzazione – che resta l’obiettivo futuro ribadito dal governo – mandando a pieno regime le centrali attualmente attive. La terza azione prevista è l’aumento delle importazioni, utilizzando la flessibilità dei contratti in corso. Da settimane ormai il governo lavora all’obiettivo di rendere il Paese indipendente dalla Russia entro il 2024 aumentando i flussi dall’Africa: Algeria in testa, ma anche Congo, Angola, Mozambico e Nigeria. Ma si guarda anche al Medioriente: anche così si spiega la visita di Mario Draghi in Israele della settimana scorsa.

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